
Saluti romani al corteo
MILANO
Il Tribunale ha assolto con formula piena, "perché il fatto non sussiste", 23 militanti di estrema destra che erano imputati per aver risposto alla chiamata del "presente" e aver fatto saluti romani al corteo che si era tenuto il 29 aprile del 2019 alla memoria di Sergio Ramelli, militante neofascista ucciso da un commando di Avanguardia Operaia nel 1975. La Procura aveva chiesto 23 condanne a pene comprese tra i 2 e i 4 mesi per gli imputati, militanti di movimenti come Lealtà Azione, Forza Nuova e Casapound, che erano accusati di "manifestazione fascista", sulla base dell’articolo 5 della legge Scelba, davanti al giudice della nona penale Mariolina Panasiti.
Per un’imputata, invece, lo stesso pm Enrico Pavone aveva chiesto l’assoluzione dalla sola accusa che le veniva contestata, l’aver violato prescrizioni in materia di pubblica sicurezza per avere fatto in modo che il corteo, che doveva essere statico, si muovesse lungo un percorso non autorizzato. Anche la giovane è stata assolta ieri. Le motivazioni della sentenza si conoscereano far 90 giorni. Tra i difensori l’avvocato Antonio Radaelli, assieme ai colleghi Giancaspro, Procaccini, La Russa, Marino, Peli, Belvedere, Bortolini.
Nel processo era parte civile anche l’Anpi, con l’avvocato Federico Sinicato. In abbreviato, con sentenza confermata dalla Cassazione, erano già stati condannati cinque imputati che avevano partecipato al corteo del 2019. Diversi i processi celebrati negli anni, con decisioni altalenanti, a Milano per i cortei dell’estrema destra con saluti romani per Ramelli. In alcuni casi erano, infatti stati condannati, in altri assolti.
Lo scorso aprile, però, si è espressa la Cassazione a sezioni unite, che ha messo una serie di paletti per i giudici, da valutare e "da cui poter ricavare" nel caso "un concreto pericolo di riorganizzazione del partito fascista" per configurare il reato punibile.
Nel processo milanese, che si è chiuso ieri in primo grado, si è ovviamente tenuto conto delle indicazioni della Cassazione, cioè l’insussistenza - stando alle disposizioni del giudice - di un reale pericolo di riorgnaizzazione del partito fascista.
Solo dalle motivazioni, quando saranno depositate, fra novanta giorni si potrà capire meglio l’interpretazione che sta alla base della sentenza.