
Salone del Libro di Torino
Una piazza e due contendenti. Anzi tre. In «difesa» la storica Torino, quella del Salone internazionale del libro, «il Salone» dei 127.596 biglietti staccati nel 2016 e che si appresta a festeggiare la maturità: 30 anni tondi tondi. Un compleanno che rischia però di essere rovinato dalle inchieste giudiziarie in corso su possibili turbative d’asta, ma anche dalla concorrenza. All’«attacco» nientemeno della capitale dell’editoria, quella Milano che nel curriculum vitae vanta, oltre a un passato glorioso, referenze ancora illustri accompagnate da una solida tradizione fieristica. Dopo la prima fuga di notizie, Fiera Milano «confessa»: si candida ufficialmente a ospitare una nuova vetrina del libro e ha consegnato al cospetto dell’Associazione Italiana Editori anche un progetto, per ora senza nome di battesimo: sarà una nuova vetrina del libro – cinque giorni di festa da tenersi sempre nel mese di maggio – chiamata a radunare piccoli e grandi editori e a raccogliere per la prima edizione almeno 80mila visitatori all’interno dei padiglioni e 100mila in città. Numeri stimati al ribasso, quasi per scaramanzia, e da sommare ad altre tappe proposte in tutto lo Stivale, dalla capitale al suo tacco, nella Bari che oggi legge poco, ma dal cui terreno sbocciò anche Laterza. In attesa della fumata di mercoledì, affidata all’Associazione Italiana editori, Torino blinda il suo Salone e cerca un’alleanza mentre spunta la sorpresa dell’ultima ora. Il duello, in realtà, potrebbe essere una battaglia a tre. Tra i due contendenti si inserisce la città dei libri per ragazzi: Bologna avrebbe presentato agli editori un piano “c”, forte della sua Bologna Children’s Book Fair e cercando, come Torino, di andare oltre ai recenti scossoni giudiziari. L’editoria in cerca di lettori deve scegliere fra i suoi tre corteggiatori.
Milano, 25 luglio 2016 - Corrado Peraboni, ad di Fiera Milano, la versione milanese del Salone del libro è nata dopo le turbolenze giudiziarie torinesi? «No. Il progetto è nato quando ho visto i dati Istat sull’andamento della lettura in Italia. Sa che 9 persone su 100 non hanno neppure un libro in casa? Una persona su due non ha letto un libro nel 2015. E c’è un divario tra regioni: in Puglia è il 70% a non aver letto un libro nel 2015». Non rincorrete una moda. Perché lanciarsi quindi in questa sfida con Torino? «Prima di una nuova fiera si sondano le esigenze del mercato: o c’è un settore particolarmente forte del made in Italy a cui manca una vetrina o si intravede uno spazio in settori con ampi margini di crescita. Il libro rientra in questo capitolo. Il nostro slogan è “trasformare”, non ha senso trasferire Torino a Milano». Torino teme lo “scippo”. Cosa offre di più Milano? «Credo molto nella specificità dei territori, con Tuttofood e il padiglione del vino non mi sono messo a fare guerra a Verona, abbiamo collaborato, ma non ho lanciato una fiera dell’auto, anche se qui abbiamo l’Alfa Romeo. Se non è Milano la capitale dell’editoria... Stiamo piantando un seme in un terreno fertile. E poi abbiamo una grande tradizione di gente cresciuta andando in fiera, dai tempi della Campionaria all’Artigianato in Fiera». Che nome darete all’evento? «In realtà non l’abbiamo ancora trovato. In cantiere ci sono varie ipotesi, ci piacerebbe un nome italiano e la parola “libro”. Visto che il progetto non si ferma a Milano ma ha una valenza nazionale, il nome deve essere declinabile con quello di altre città, come Bari». Il Salone del libro si è sempre tenuto a maggio. Perché anche voi puntate su maggio? «Perché le scuole sono ancora aperte ed è un momento in cui il mercato richiede eventi di questo tipo, l’obiettivo è aprire a tanti studenti, come con il format Expo». I piccoli editori temono di essere oscurati dalle «big» della metropoli. «Cito sempre un esempio: abbiamo Poliform, T70, Cassina tutta una serie di grandi brand internazionali che non fanno solo mobili ma cultura che all’epoca, quando venivano in Fiera, erano piccoli artigiani con buone idee. L’obiettivo è permettere anche ai piccoli di incontrare lo stesso mercato delle grandi e la stessa platea». Ci sarà un fuorisalone? «Di solito è il culmine di un percorso di crescita di una manifestazione. Ma penso a un modello simile a Mi-Art 2016, meno aperitivi ma più contenuti, coinvolgendo gli attori del settore. Sappiamo che a Torino uno dei punti di debolezza era lo scarso entusiasmo di biblioteche e librerie». Il Comune di Torino ha bussato alle porte di Milano per chiedere un’alleanza... «Sono l’ad di una società quotata in borsa, rispondo agli azionisti non agli assessori comunali, anche se cercheremo di coinvolgere le istituzioni». Nell’ipotesi di una fumata nera degli editori mercoledì, andrete avanti lo stesso? «No. Sarebbe come organizzare il Salone del mobile senza i grandi “falegnami”». Se invece daranno il via libera e Torino non farà marcia in dietro, ci saranno due saloni? «Dipenderà da Torino. E poi ho fiducia nel mercato: sarà il mercato a decidere».