MARIO CONSANI
Cronaca

Milano, alpino morto in incidente: caso Roberto Garro, 21 anni senza verità

Non parte la commissione parlamentare d’inchiesta sulla fine del giovane alpino di leva

Roberto Garro

Milano, 27 dicembre 2019 - Chi non vuole la verità sulla morte dell’alpino Roberto Garro? È già passato un anno dall’impegno assunto con i genitori dall’allora ministra della Difesa Elisabetta Trenta. "Riapriremo il caso", promise. E chiese pubblicamente una commissione d’inchiesta parlamentare sulla fine di quel ragazzo milanese nemmeno ventenne, che nel 1998, durante il servizio militare, morì in Friuli con tre commilitoni mentre rientrava in caserma su un’auto che si schiantò frontalmente con un camion. Un incidente con molte stranezze mai chiarite. Un anno è trascorso: da giallo-verde che era il governo è diventato giallo-rosso, la ministra ha perso il posto ma il Parlamento è sempre lo stesso e a capo della commissione Difesa della Camera c’è sempre il grillino Gianluca Rizzo, che a fine 2018 scriveva sul suo profilo Facebook: "La richiesta di verità sulla tragica morte di quattro alpini avvenuta a Gemona del Friuli il 9 giugno 1998 mentre rientravano dalla libera uscita, non può che trovare nel Parlamento attenzione e sensibilità".

E continuava così: "Roberto Garro, Giovanni Lombardo, Andrea Cordori e Mirco Bergonzini erano quattro giovani alpini che avevano davanti a se tutta la vita. I genitori di Roberto Garro, con ostinazione, non si sono rassegnati alle verità ufficiali, ricostruendo fatti ed avanzando legittime domande. Ho trasmesso, per competenza, la richiesta avanzatami al presidente del gruppo parlamentare del M5S Francesco D’Uva per le opportune iniziative". Opportune ma inesistenti. Da allora, infatti, soltanto il silenzio. O, meglio, il solito instancabile sforzo dei genitori di Roberto, Angelo e Annamaria, che non mollano mai e che da vent’anni chiedono verità, lanciano appelli, scrivono a chiunque possa aiutarli. Ma solo in casi rari ricevono risposte, come la lettera arrivata lo scorso marzo a firma della ministra Trenta che tentava di spiegar loro perché, nonostante la sua presa di posizione pubblica, nulla concretamente si stesse facendo. "Desidero sappiate che il mio impegno non si è esaurito con quel richiamo (...) purtroppo, però, non posso molto di più. D’altronde i tempi parlamentari sono molto diversi da quelli delle nostre vite (...) e la possibilità di costituire l’auspicata commissione d’inchiesta è opera ardua e sicuramente non breve".

Ma questo i Garro lo sanno bene, visto che aspettano da vent’anni che qualcuno chiarisca i lati oscuri di quell’incidente: la polizia stradale che descrive a verbale lo scontro "con effetti esplosivi" visti i segni rimasti sui corpi di quei ragazzi; l’autista bosniaco del tir che però viene rimandato subito in patria; nessuna perizia, nessuna indagine seria. In compenso, funerali di Roberto celebrati in fretta e furia nel cortile della caserma e quando finalmente i genitori ottengono la riesumazione del cadavere, un paio d’anni dopo, la sorpresa di constatare che il figlio era stato seppellito nudo e sporco di fango avvolto in un sacco di plastica senza alcuna umana pietà. E che era anche privo delle cornee senza che nessuno avesse firmato alcun consenso per l’espianto.

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