Robinho prova l’ultimo disperato dribbling per evitare la cella. I legali dell’ex attaccante di Milan e Real Madrid, condannato in via definitiva a 9 anni di reclusione per lo stupro avvenuto il 22 gennaio 2013 in un locale milanese, hanno presentato un ricorso alla Corte suprema brasiliana sulla base del principio "habeas corpus", che tutela l’inviolabilità personale e il conseguente diritto dell’arrestato di conoscere la causa del suo arresto e di vederla convalidata da una decisione del magistrato. Secondo gli avvocati, il quarantenne Robson de Souza Santos "non ha mai rappresentato un rischio per l’applicazione della legislazione nazionale"; di conseguenza, dovrebbe restare libero, "fino a quando la decisione della giustizia non sarà definitiva", nella dimora extralusso sul litorale paulista.
La richiesta – che per i legali avrebbe buone probabilità di essere accolta perché l’omologazione della condanna in Brasile sarebbe "contraria alla Costituzione" – arriva all’indomani del verdetto del Supremo tribunale di giustizia del Brasile, che mercoledì si è pronunciato a maggioranza a favore dell’omologazione della sentenza italiana. Conclusione: "no" all’estradizione, sempre negata dallo Stato sudamericano; "sì" alla reclusione nel Paese di origine per scontare la pena. I giudici hanno tenuto conto anche del parere della Procura federale del Brasile (Mpf), che ha ritenuto soddisfatti "tutti i requisiti legali e procedurali adottati dal Brasile in materia di trasferimento delle esecuzioni penali dall’Italia", aggiungendo che la procedura ha rispettato "sia la Costituzione federale che l’impegno del Paese nella repressione della criminalità e nella cooperazione giudiziaria". Ora l’atto finale di una vicenda legale lunghissima.
Una vicenda iniziata il 22 gennaio 2013. Quella notte, secondo le accuse, Robinho e l’amico Ricardo Falco avrebbero abusato di una ragazza di 23 anni nel guardaroba di un locale in zona Bicocca, dopo averla fatta bere fino a renderla incosciente. L’ex calciatore si è sempre professato innocente, sostenendo che il rapporto sia stato consenziente, ma la condanna in primo grado è stata confermata sia in Appello che in Cassazione. Nei giorni scorsi, Robinho si è difeso per l’ennesima volta ai microfoni di una tv brasiliana, prendendo spunto dalla vicenda che ha coinvolto Acerbi e Juan Jesus durante Inter-Napoli: "Sono stanco di vedere le storie di razzismo che avvengono lì. Sfortunatamente tutto ciò continua fino a oggi, con le medesime persone che non fanno nulla contro questo tipo di atti. E sono le stesse che mi hanno condannato. Era il 2013 e siamo al 2024. Con la quantità di prove che ho a mia discolpa, senza dubbio non sarei condannato. Se sotto processo ci fosse un italiano o una persona di razza bianca, il discorso sarebbe diverso, sarei stato assolto".