Riccardo Maria Jules, alfiere della Repubblica: "Al 118 vedi la realtà con altri occhi"

Nominato da Mattarella, è un giovane volontario della Croce Rossa di San Donato

Riccardo Maria Jules

Riccardo Maria Jules

"Non penso di essere migliore dei miei coetanei; mi piacerebbe che tutti facessero un’esperienza nel mondo del volontariato, anche solo per un periodo. Aiuta a vedere la realtà con occhi diversi". Sono le parole di Riccardo Maria Jules Van Lysebetten, 19 anni compiuti a dicembre, fra i 30 meritevoli scelti per ricevere il titolo di Alfiere della Repubblica. Di madre italiana e padre belga, un diploma al liceo classico Primo Levi e ora gli studi in Storia alla Statale di Milano, Riccardo è un giovane volontario della Croce Rossa di San Donato, dove presta servizio da quando aveva 15 anni.

"Durante le fasi più acute della pandemia - si legge nelle motivazioni del riconoscimento - ha prestato costantemente servizio in sala radio, rispondendo alle numerose chiamate di aiuto. Nonostante le difficoltà relazioni dovute alla sindrome di Asperger, non si è mai tirato indietro e ha trovato nella Croce Rossa la possibilità di esprimere le proprie capacità dedicandosi, con grande generosità, ai bisogni di persone in difficoltà. Per l’impegno e la solidarietà dimostrata, è diventato un esempio per i suoi coetanei e altri ragazzi in difficoltà".

Già emozionato all’idea d’incontrare il Presidente Sergio Mattarella, "non mi aspettavo di ricevere questo titolo – dice -. Ho fatto il mio, nulla di più". La passione per il volontariato è iniziata al liceo. "Un giorno il personale della Croce Rossa è venuto a scuola per parlare di Aids. È stata anche l’occasione per presentare l’associazione. Quell’incontro ha smosso qualcosa". Un corso di 18 ore, quindi l’inserimento al centralino: "Durante le attività del 118, registro a computer i dati dei pazienti, i movimenti e le attività delle ambulanze. Ricevo le prenotazioni per i servizi a pagamento. Più di una volta sono andato al campo migranti di Bresso per la distribuzione dei pasti – racconta -. Alcuni amici mi chiedono che senso abbia lavorare gratis. Intanto, un impegno di 12 ore al mese non è un lavoro. E poi si riceve una cosa che è anche migliore dei soldi: il “grazie“ delle persone che vengono aiutate. Una gratifica impagabile".

"Durante la pandemia è stata dura, c’era un clima frenetico, di stress. Le regole da seguire cambiavano in continuazione, il rischio di contagio era concreto. Al centralino la pressione era minore: anche solo con aneddoti e battute, cercavo di tirare su il morale ai colleghi delle , sfiniti dai lunghi turni. Siamo un’unica grande famiglia, quell’esperienza ha cementato i rapporti". Riccardo sogna di fare l’insegnante e lo scrittore. Intanto, intende proseguire come volontario. "Stare con gli altri mi aiuta. Ora mi piacerebbe salire in ambulanza, seguire il corso per il trasporto sanitario semplice".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro