Video hot su Pornhub, salvata dal "metodo Cantone"

I detective del revenge porn bloccano i filmati e denunciano l’ex fidanzato. Il procuratore Mannella: fenomeno preoccupante

Tiziana Cantone, figura simbolo della lotta contro il revenge porn

Tiziana Cantone, figura simbolo della lotta contro il revenge porn

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Laura, nome di fantasia, ha scoperto che un suo filmato intimo era stato pubblicato su Pornhub, uno dei principali siti internet di porno gratuito. Disperata, lo scorso 10 settembre si è rivolta a Emme Team, il gruppo di studi legali americani ed europei che aiuta le vittime di revenge porn, e che ha ideato il “metodo Cantone“, intitolato alla donna che si uccise il 13 settembre 2016. Cinque giorni dopo, il video è stato bloccato e rimosso dal web. Il 9 ottobre è stato identificato con certezza chi lo ha diffuso: l’ex fidanzato della donna, che voleva colpirla dando in pasto i loro rapporti agli utenti del sito. Lo scorso 9 novembre la vittima ha potuto sporgere denuncia alla Procura di Milano. Matteo, altro nome di fantasia, è stato invece attirato da una avvenente ragazza su Instagram, che lo ha spinto a spogliarsi e a mandarle alcuni scatti per poi ricattarlo: ha chiesto duemila euro, minacciando di diffondere sul web le foto. Anche in questo caso, i “detective del revenge porn“ sono riusciti a risalire al profilo e a sporgere denuncia alla Procura di Milano. Sono solo due delle tante vittime della diffusione virale di video intimi privati, con casi che aumentano di pari passo con la diffusione di social network e sistemi di messaggistica. Le denunce sono solo la punta dell’iceberg, perché molti restano ancora nell’ombra. 

«Ogni mese riceviamo una decina di denunce», spiega il procuratore aggiunto di Milano Letizia Mannella, a capo del pool fasce deboli. «Si tratta di episodi preoccupanti che spesso si collocano in contesti che vedono la commissione di più reati, come ad esempio lo stalking». Un fenomeno relativamente nuovo, ed emerso in tutta la sua drammaticità con il suicidio di Tiziana Cantone, ora figura simbolo della lotta contro il revenge porn. E il «Metodo Cantone», il sistema di identificazione che ha permesso di scoprire e denunciare oltre cento presunti responsabili della condivisione dei filmati della donna, è divenuto uno degli strumenti adottati da alcune polizie giudiziarie per scoprire le false identità in rete e risolvere casi di revenge porn; si tratta esclusivamente di casi emersi sui social che hanno sede negli Usa, i più diffusi, da Facebook a Instagram, da Twitter a Telegram. Dopo mesi di «sperimentazione», il metodo è ora ufficialmente usato da carabinieri e polizia postale, che si sono rivolti, per indagini in corso anche a Milano, agli esperti di Emme Team.

Un metodo diventato ormai un precedente con valore di legge grazie ad una sentenza emessa dal giudice federale del West Michigan, che ha ordinato ai colossi del web di fornire le informazioni necessarie per identificare i responsabili della diffusione di video o immagini private. Il metodo si basa sull’obbligo giuridico che ogni compagnia ha, negli Usa, di immagazzinare i dati di chi apre un account, come il numero di cellulare o l’email; alla vittima di revenge porn, basta quindi compilare un modulo sul sito di Emme-Team, e richiedere gratuitamente il blocco dell’immagine. Metodo applicato anche nei due casi milanesi, con al centro Pornhub e Instagram. Primi risultati ottenuti grazie a una battaglia nella giungla di internet, che ha aperto praterie per la propagazione di materiale proibito. «Ci preoccupa la diffusione di materiale pedopornografico – sottolinea il procuratore aggiunto Letizia Mannella – trasversale a tutte le età e classi sociali, con i fruitori dei video sul “dark web“ che nella maggior parte dei casi diventano anche adescatori di minorenni».   

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