Renato Vallanzasca “non ha mai chiesto scusa alle vittime”. Linea dura dei giudici: può essere curato in carcere a Bollate

La testimonianza dell’ex moglie e la perizia: "Soffre di un grave decadimento cognitivo". Ma per la Procura generale e la Cassazione non può accedere ai domiciliari. I legali: è un caso unico

Renato Vallanzasca, 73 anni, a un’udienza dell’ultimo processo per il furto di mutande

Renato Vallanzasca, 73 anni, a un’udienza dell’ultimo processo per il furto di mutande

Milano – Il “bel René”, il mascalzone bandito che diceva con una punta di orgoglio "io sono nato ladro" (e non solo ladro purtroppo), il Vallanzasca che uccideva sequestrava e rubava, ma sapeva sedurre le donne, innamorate di una idea romantica di bandito, poi condannato a quattro ergastoli, non esiste più. Dopo 53 anni di carcere, su 73 di vita, chi lo ha amato, come la ex moglie Antonella D’Agostino dice che ormai è "l’ombra di se stesso, il carcere l’ha piegato e ha diritto di essere curato fuori".

Cinquantantrè anni sono tutta una vita, la Comasina non è più la Comasina della “ligera" e in via Porpora al 162 dove abitava con la sua mamma oggi c’è la Milano gentrificata. Vallanzasca cominciò lì la sua storia criminale: a 8 anni liberò una tigre dal circo accampato in piazza Gobetti e andò dritto al Beccaria per 48 ore, prima di essere affidato a una zia.

Il resto della sua vita è un pezzo della storia della mala milanese, buona trama di film e libri. A parlare oggi di “grave decadimento cognitivo" non è solo la ex moglie, ma anche una perizia in carcere a Bollate dove è detenuto, disposta dai suoi avvocati Corrado Limentani e Paolo Nuzzi, che spiegano: "Il caso della lunga detenzione in cella di Vallanzasca è unico tra i detenuti italiani".

I legali non negano la gravità dei reati commessi tra gli anni Settanta e Ottanta, per i quali fu condannato appunto a quattro ergastoli. Sostengono però che, a distanza di 50 anni da quei fatti, abbia il diritto di accedere ai benefici previsti dalla legge. A dire il vero nel 2010 Vallanzasca aveva avuto accesso al regime di semilibertà, ma gli fu revocato nel 2014 perché sorpreso a rubare un paio di mutande in un centro commerciale. Per la ex moglie quel “presunto furto" è semmai la conferma che "qualcosa nella sua testa aveva cominciato a non funzionare". Per la Sorveglianza, invece, è l’ulteriore prova che lui non è mai cambiato, oltre a non essersi mai pentito, come dimostra "l’aver sottaciuto" le scuse "alle sue tante vittime", spiega la Sorveglianza.

Lo scorso maggio la Procura generale si era opposta alla richiesta di detenzione domiciliare in una struttura sanitaria, avanzata ancora dai legali di Vallanzasca. I giudici non avevano dato parere favorevole al differimento della pena, seppur da scontare in un istituto, non certo a casa.

L’ultima decisione sul “caso unico in Italia“, insistono i legali, è di una settimana fa. Ed è ancora un "no" alla scarcerazione che arriva dalla Corte di Cassazione. I giudici, pur riconoscendo il decadimento cognitivo, hanno stabilito che ci sono trattamenti di tipo conservativo e farmacologico. Il 73enne, dunque, può essere, ben curato in carcere a Bollate.

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