Non solo non rispettavano uno dei requisiti fondamentali per accedere al sussidio, che in epoca pre-riforma era riservato solo ai residenti in Italia da almeno dieci anni (di cui due consecutivi). Di più: incassavano l’intera cifra in contanti, lasciando una percentuale del 10-15% a chi gli consentiva di aggirare le regole. A valle di un’indagine lunga e complicata, che nel dicembre scorso aveva vissuto un primo decisivo passaggio intermedio, i carabinieri del Gruppo tutela lavoro di Milano ha chiuso definitivamente il cerchio su un maxi raggiro ai danni dello Stato.
I numeri sono impressionanti: ben 597 cittadini, quasi tutti di origine somala e domiciliati tra Milano e altre tredici province sparse per lo Stivale, hanno percepito per mesi il Reddito di cittadinanza senza averne diritto. Non basta. L’esercito dei (quasi) 600, denunciati per truffa aggravata e falsa attestazione del possesso dei requisiti per la corresponsione del beneficio Rdc, avrebbero violato pure un altro caposaldo della legge: quello che permetteva di monetizzare solo una quota minoritaria del sussidio (100 euro), utilizzando il resto dei 500-600 euro mensili per acquistare beni di prima necessità.
Come funzionava? Secondo quanto accertato dai militari coordinati dal tenente colonnello Loris Baldassarre, i somali si recavano ogni trenta giorni in alcuni esercizi commerciali ed effettuavano finti acquisti con la carta del Reddito. L’esercente compiacente incassava il versamento senza causale via Pos e restituiva cash il denaro ai clienti, trattenendo per il disturbo una sorta di provvigione.
L’inchiesta è partita nel febbraio 2021, quando gli investigatori dell’Arma hanno avviato, in stretta collaborazione con gli uffici dell’Inps, verifiche a tappeto sui beneficiari del sussidio, intercettando alcune stranezze (un numero molto elevato di cittadini somali tra coloro che lo riscuotevano regolarmente) e decidendo d’intesa con la Procura di approfondire i controlli a caccia di eventuali illeciti.
Una volta accertato che i percettori effettuavano "anomali e ricorrenti" acquisti all’internet point "Gazi network" di via Padova 213, è scattata la fase due dell’indagine, con esame di tabulati telefonici, installazione di microcamere e acquisti simulati: gli occhi elettronici si sono rivelati fondamentali per ricostruire il meccanismo (ripetuto all’infinito) che portava il titolare a trasformare i soldi digitali della card in denaro contante quasi fosse un bancomat.
A dicembre, il gestore del Gazi network, il trentottenne bengalese Solaiman Hannan, è finito ai domiciliari con le accuse di riciclaggio continuato e abusiva attività di prestazione di servizi di pagamento, patteggiando poi due anni e sei mesi di reclusione (con confisca dei 20.800 euro riciclati).
Gli approfondimenti sono andati avanti, analizzando un’imponente mole di dati finanziari e arrivando a individuare altri due negozi diventati meta dei presunti imbroglioni: una rivendita di generi alimentari e un kebab tra via Farini e viale Stelvio. I due titolari sono stati indagati a piede libero e perquisiti.
Altri 36 percettori, che avevano i requisiti, sono stati comunque segnalati all’Inps per l’indebito utilizzo del beneficio, immediatamente sospeso. I carabinieri hanno pure quantificato la somma di denaro riciclata complessivamente dagli esercenti (413mila euro) e l’indebita percezione ai danni dello Stato (2,374 milioni di euro).