
Fabrizio Casolo e il suo staff (NewPress)
Milano, 24 luglio 2018 - Farcire i tradizionali ravioli cinesi al vapore, i dim sum, con ripieni italiani. Ispirati alla tavolozza dei sapori regionali: con l’ossobuco alla milanese, il ragù alla bolognese fino alla ‘nduja calabra. L’idea è venuta ad un milanese doc che ha scorto in questi bocconi prelibati nuove possibilità di interpretazione. «Sono un po’ come la pizza, un esercizio di creatività» spiega Fabrizio Casolo, 42 anni, che ha aperto dal 2016 in via Vincenzo Monti al 26 (c’è anche una filiale in via Borsieri) il «Ghe Sem». «Ci siamo» in dialetto milanese è un nome scelto per echeggiare dim sum, che in cinese significa «che tocca il cuore», rivendicando l’italianità.
Casolo è partito lavorando nel bar di famiglia al confine con Corsico. Ha tentato di fare il perito elettronico dopo il diploma: «Per due anni ma non era la mia vita». Cambiando settore ha conquistato il successo, diventando un imprenditore del food: nel 2004 apre il giapponese Bento e poi nel 2008 la tradizionale Osteria Brunello, entrambi in corso Garibaldi, di cui è tuttora socio. L’incontro con il futuro socio del Ghe Sem, Gianmarco Senna, nel 2016, è di quelli giusti. «Eravamo entrambi alla ricerca di una nuova sfida. Un giorno, andando al ristorante cinese, ci siamo detti: perché non li facciamo anche noi ma con i prodotti tipici italiani?» racconta Casolo. Detto fatto. Ad aprile del 2016 nasce il primo Ghe Sem in via Monti, aperto sette giorni su sette sia a pranzo che a cena. Dal 2017 sono segnalati sulla guida del Gambero Rosso.
La pasta dei dim sum è preparata nel laboratorio in via Borsieri, seguendo la ricetta cinese: «Solo farina di frumento e acqua. La si deve far riposare qualche ora, poi viene lavorata con un piccolo mattarello da due cuochi cinesi. Hanno una manualità eccezionale: per distinguere fra i venti tipi di ravioli nel menù – a base di carne, pesce, vegetariani e speciali – conferiscono una forma diversa ad ognuno».
I ripieni sono fatti dai collaboratori italiani e inventati da Casolo – il menù cambia ogni 4 mesi – che è creativo ma senza cerebralismo. Fra i più gettonati, il Milanese con ossobuco e lime. La pasta del raviolo è gialla perché aromatizzata con lo zafferano. Il Verde, con carote, zucchine, cavolo verza e senape, ha l’impasto verde (ottenuto dagli spinaci). La Carne, con maiale, carote, zucchine, sesamo e sfere di soia, è rosso, a base di pomodoro. Il Virgilio, con polpetta di pesce, è avvolto da pasta al nero di seppia.
C’è il raviolo gourmet, a base di caviale e storione: il più caro, due bocconi costano 8 euro mentre per gli altri si viaggia intorno ai 3/4 euro. Il Bolognese ricorda una lasagna, con ragù e besciamella, mentre il Calabrese è farcito con ‘nduja. Tutti i ravioli sono serviti nei tipici cestini di bambù e accompagnati volendo dai cocktail del bartender Giovanni Parmeggiani.
«Mi fa piacere quando ai nostri tavoli siedono anche i cinesi. Appena entrano sembrano perplessi, poi apprezzano». Cosa ci sarà nel prossimo menù? «Sto pensando di creare il raviolo dal mondo. Il Messicano sarà un dim sum con ripieno di guacamole ».