
Amina Al Zeer è presidente di Progetto Aisha che dal 2016 assiste le donne musulmane
"Il protocollo per il sostegno alle donne vittime di violenza dei paesi del Nord Africa rappresenta un passo importantissimo. Ora dobbiamo lavorare affinché non resti sulla carta e fare in modo che si raggiungano davvero tutte le donne invisibili". A parlare è Amina Al Zeer, attivista quarantanovenne nata a Modena da madre italiana e padre palestinese, madre di 7 figli, tra le fondatrici dell’associazione “Progetto Aisha“ nata nel 2016 per dare supporto alle donne musulmane vittime di violenza e per promuovere una rete di solidarietà al femminile. Ora è tra i firmatari del protocollo, istituito dal Tribunale di Milano, "per informare e sensibilizzare" le donne. Tutte le realtà coinvolte si impegnano anche a costituire un Tavolo permanente di confronto.
Il protocollo è nato constatando che c’è un abisso tra vittime accertate (2.134) e parti offese (96). Perché le donne faticano a denunciare?
"Questo non mi sorprende. Tra i motivi ci sono l’isolamento linguistico e culturale, il fatto che molte donne del nord Africa (ma non solo) non conoscano i loro diritti. Alla base anche il timore di essere stigmatizzate dalla loro comunità oppure in generale di essere giudicate. Ma anche eventuali esperienze negative con le istituzioni possono portarle a non esporsi. Noi già ci diamo da fare per far uscire le donne dal sommerso e possiamo rappresentare un ponte verso le istituzioni. Abbiamo un radicamento sul territorio, speriamo che in virtù della fiducia che tante donne già nutrono in noi, si possa fare di più, avanzare di un altro pezzetto".
Qual è adesso la priorità?
"Intanto, attivare il Tavolo di confronto con le altre realtà firmatarie del protocollo, in modo che si possa fare rete. Ma anche organizzare iniziative di sensibilizzazione in luoghi non convenzionali, per esempio nelle moschee. Io punto alla creazione di una rete di ascolto che non si sostituisca alle donne ma che le accompagni. Voglio portare la voce delle donne a questi Tavoli istituzionali. Ma anche impegnarmi a segnalare le barriere di accesso ai processi di tutela, in modo che si possano abbattere. Insomma: questo protocollo non deve restare sulla carta".
E cosa si aspetta, lavorando in sinergia?
"Coerenza, ascolto, che l’esperienza delle associazioni partecipanti sia fondamentale; che si lavori in rete con obiettivi comuni. Insomma, che si raggiungano le donne invisibili: le vittime che non denunciano vanno agganciate. Il lavoro da fare è tanto".
Marianna Vazzana