
Radio
In principio fu Barry White, era il 10 marzo 1975. La canzone: “Love’s Theme“. Disco sul piatto, microfoni aperti: in onda. La trasmissione partiva da un appartamento in via Locatelli 1, a Milano. Una rivoluzione pirata. l’Escopost suonò il citofono un mese dopo il battesimo: «Aprimmo e ci trovammo gli ufficiali che misero i sigilli», racconta uno dei fondatori di Radio Milano International, Piero “P3“ Cozzi. Poco tempo dopo il pretore diede ragione ai pionieri e l’emittente riprese le trasmissioni. L’epopea delle radio libere italiane inizia a Milano e compie cinquant’anni oggi. Dall’esperimento ribelle di Milano International le radio libere «hanno trasformato il sistema della comunicazione», spingendo l’addio al monopolio Rai e ottenendo la liberalizzazione delle frequenze. «All’epoca abbiamo intercettato la voglia di cambiamento», spiega Cozzi: «Da allora, le emittenti indipendenti hanno svolto un ruolo importante nel mondo del costume, della cultura e dell’informazione, sostenendo valori di libertà d’espressione e partecipazione». Oggi il compleanno sarà festeggiato con un flash mob in via Locatelli promosso da Fausto Terenzi, voce storica della radio, e Giuseppe Fiorellini.

Piero Cozzi: “Non si faceva una lira. Era un regno creativo (inclusi i tanti errori)"
«Fu un’opportunità di ricerca e innovazione. Ai tempi la radio era monopolio Rai: l’idea di una emittente libera è stata un’avventura. Un momento di stimolo, di follia, ma anche di passione, di nuova espressione. Errori compresi. Perché non tutto quello che facevamo era bello». Piero “P3“ Cozzi è cofondatore, dj e direttore artistico di Radio Milano International: «La radio ha questa specie di fascino per chi la ascolta. Può creare un mondo di fantasia, aperto alle fascinazioni artistiche. L’ascoltatore è allo stesso tempo passivo e autore, scrittore, architetto: può spaziare e inventarsi la sua storia. È un po’ come quando da piccolo ti raccontano le favole e le vivi a modo tuo».
Come furono gli inizi?
«La radio che abbiamo fatto è stata molto goliardica, improvvisata».
Come e quanto è cambiata la radio italiana?
«Credo sia diventata più commerciale. Segue degli schemi che funzionano, per cui fa più fatica a cambiare. Lo capisco: la radio è un’impresa che ha dei costi, quindi deve avere anche una resa. Per cui l’ascoltatore sa bene cosa sentirà e sceglie cosa sentire. Questo è stato il fenomeno che l’ha in qualche modo settorizzata, ciascuna radio nel suo ambito, a scapito dell’immaginazione e dell’improvvisazione, frenando la parte creativa. Sia chiaro: non è né un vantaggio né uno svantaggio, è semplicemente un cambiamento. D’altra parte l’improvvisazione non poteva durare. Ai tempi nessuno guadagnava una lira, era fatta di buona volontà, a un certo punto le radio sarebbero tutte fallite. Quindi era meglio ieri o oggi? Mah. La prima era più divertente, la seconda ha un po’ più di senso».
Perché resiste nel tempo?
«Beh, resiste un po’ meno, ci sono molte alternative. Resiste perché tiene compagnia, è un momento in diretta, per cui sorprende, anche se meno di prima, rispetto a Spotify. È una voce amica, rimane vicina».
Un aneddoto?
«Le improvvisazioni. Ad un certo punto, di notte, mi son detto: sai che faccio? Butto via tutta la scaletta e vado in onda con le telefonate dei lavoratori. Veniva fuori di tutto, cose davvero inimmaginabili».

Fernando Proce: “Io, figlio di contadini in onda fin da bambino tra Isotta e tartarughe”
«Cos’è la radio? Bella domanda. Io ho iniziato a 10 anni e ne sono passati allegramente 50. La radio è la mia vita! Ho avuto la possibilità di entrare da piccino», racconta Fernando Proce, conduttore di Radio 101: «Facevo un programma per bambini: “Tra fantasia e realtà”. I pezzi più suonati nel 1975 erano “La tartaruga” di Bruno Lauzi, “Isotta” di Pippo Franco, “Tarzan lo fa” di Nino Manfredi. Poi è arrivato “Mackintosh” di Mal ancor prima di “Furia”. Non ho avuto modo di scegliere e ogni tanto ci penso, avrei potuto fare il medico o l’idraulico…».
Com’è cambiata la radio?
«Come cambiamo noi, come cambia tutto. Si adatta. È diventata polifunzionale, multidevice, televisiva. Però è sempre un mezzo discreto, non invadente, che si può adattare al proprio stile di vita. Puoi portarla dove vuoi, nonostante la diano in sofferenza. Recentemente mi è capitato di parlare con Renzo Arbore: lo obbligarono, mi disse, a fare un programma in radio per i giovani “perché la radio era morta”. Questo succedeva 50 anni fa… Ora tanto affanno a star dietro all’intelligenza artificiale, vedremo cosa succederà».
Perché resiste negli anni?
«Perché è una compagna discreta, gestibile, non disturba. Puoi adattarla e declinarla come vuoi. La radio è la compagna ideale. La diretta 24 ore su 24 è, inoltre, un grande plus. Non credo possa svanire, può adattarsi alle tecnologie, ma fa parte del nostro vivere quotidiano. Credo durerà per sempre, sono romantico in questo senso…».
Un aneddoto?
«Ne ho vissuti talmente tanti. Io venivo da una famiglia molto umile, gente contadina, e volevo fare radio. Mio nonno, ricordo, quando ero ragazzino mi chiedeva: “Ma nella radio si entra come si entra nel frigorifero o nella lavatrice?”. Altro ricordo: ho avuto il piacere di incontrare la figlia dell’inventore della radio, Guglielmo Marconi, la principessa Elettra, in un periodo particolare della mia vita. Avevo perso il papà ed ero andato a ritirare il Telegatto per la più bella voce dell’epoca. Era il 1996, fu un’emozione indimenticabile».