Claudio
Negri
Il sole viaggiava anche lui, alla gita scolastica. Primavera
inoltrata, quasi estate, quasi vacanza. Giù per il verde piano era una corsa di luce tra ricorrenti filari di pioppi, di tanto in tanto un olmo si allungava nel cielo, forse dalla sua cima si vedeva il mare.
Un mare qualsiasi, s’intende. Ma a Sabbioneta, a dispetto del nome, non c’era spiaggia. Però la corriera correva verso qualsiasi universo, salato o meno, col suo euforico e inquieto carico. C’eravamo noi della seconda C maschile e loro della seconda E femminile. Un trionfo quasi inaspettato di promiscuità, per l’epoca. Eravamo appena andati sulla
Luna. Non come seconda C, ma pressappoco. Sulle mie nude ginocchia - perché in seconda media si portavano ancora le braghe corte, non tutti ma io sì – tenevo un tascabile di fantascienza, il primo mai comprato
coi soldi della mancia. Il titolo era ed è sinfonico: “L’invasione
della galassia” di Edmond Hamilton. “E’ bello?”. Una voce di bambina. Guardai in su. Una di seconda C si era girata sulle ginocchia e guardava oltre lo schienale del sedile anteriore al mio. Ma non era una bambina, era qualcosa di diverso, di nuovo ed elaborato, forse
venuto dalla lanugine dei pioppi. Un cespo di capelli castanorossi, occhi verdi e ridenti. Nabokov avrebbe detto: ecco una bella ninfetta.
Ma ero un ninfetto anch’io e assai grullo. “E’ bello? Mi leggi
qualcosa?”. Esitai. Lei aspettò ma non troppo e poi tornò a sedersi. Dopo un bel po’ di pioppi, sole e chilometri trovai il coraggio e sbucai col tascabile aperto sopra lo schienale e lei si spaventò, ma
poi rise. Dissi, incerto: “Ecco, qui mi sembrano parole molto
belle...”. E lessi del capitano che, dal ponte di comando della sua astronave emersa dal vuoto intergalattico, guardava con fierezza e nostalgia gli spalti luminosi della Via Lattea. “E’ proprio bello, è
bello davvero” disse lei, ma guardava me e i nostri occhi si leggevano in simultanea ed era una cosa davvero nuova, una cara e tenera agitazione. Forse ci bastò. Così le lessi in pratica tutto il romanzo, con quella reciproca gioia d’occhi. Poi la gita ci disperse.
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