Agostino
Picicco
Le brume invernali rendono ancora bella la città. Mi vengono in mente scorci o paesaggi,
anche poco conosciuti, che sono stati ben evidenziati da artisti e poeti, immortalati in
opere pittoriche e letterarie: parchi di periferie, giardini nascosti dei cortili della vecchia Milano, residui di paesaggi rurali, opere di interesse storico e architettonico. Non è un caso se nel corso degli ultimi secoli molti intellettuali europei hanno descritto il paesaggio dei luoghi visitati, inteso come elemento caratteristico della identità italiana. È noto che la contemplazione di un paesaggio naturale e armonico arreca benefici psicologici e suscita emozioni. E offre spunti per passaggi letterari di grande intensità. Oggi queste sensazioni e attenzioni non vengono più vissute appieno. I luoghi, e quindi anche i paesaggi o i monumenti, rischiano di diventare solo una mappa virtuale visibile
nello smartphone o una foto da postare. Si tratta di un vissuto umano e identitario che
merita molto di più dell’inquadratura di un tablet per un post sui social. Quanto è importante soprattutto per le giovani generazioni, ritrovare, ammirare e immergersi in paesaggi reali che danno la dimensione identitaria del proprio essere e che possono offrire sensazioni, emozioni e ricordi indelebili che faranno parte del loro bagaglio di futuro. Si pensi al libro “I ragazzi della via Pàl” e all’importanza dei luoghi nella vita delle persone. Dite che il romanzo dell’ungherese Ferenc Molnàr è dell’inizio del secolo scorso, di un’altra epoca e quindi è superato? Ma le vicende narrate erano ambientate nel centro
della città di Budapest in un terreno incolto tra le case e uno spazio del giardino botanico dove quei
ragazzini – i protagonisti - anche attraverso il gioco coltivavano valori eterni come il rispetto, la lealtà, il senso del dovere. Che sarebbe interessante riproporre anche oggi.
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