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"Quegli anomali flussi di denaro" La prova del rapporto con la Lega

Cinque anni di reclusione. Per il tribunale l’imprenditore. Barachetti era il "ponte". con i contabili del Carroccio

"È più vecchio di me, è nato due giorni prima" diceva increspando l’angolo della bocca. Parlava di Antonio Di Pietro, il pm di Mani pulite di cui era stato per più di due anni una specie di ombra. Si è spento nella notte Rocco Stragapede, uno degli storici e stretti collaboratori del magistrato molisano durante la stagione di Mani Pulite. A darne notizia è stato Giancarlo Spadoni, il collega e amico di trent’anni, tanto è trascorso dal periodo di Tangentopoli, pure lui parte della squadra di polizia giudiziaria della Procura.

Stragapede, 71 anni e malato da tempo, lascia la moglie Giovanna e il figlio Gabriele, sempre vicini a lui nel tentativo, dice Spadoni, di "alleviare le sue sofferenze". "Ho avuto un incidente sul lavoro", era solito ricordare per spiegare come mai uno cme lui, poliziotto da strada, era finito in un tranquillo ufficio al quarto piano del Palazzo di Giustizia. L’incidente sul lavoro era una pallottola che durante una rapina in cui lui era intervenuto, lo aveva preso al braccio e alla spalla costringendolo, dal suo punto di vista, quasi a cambiare mestiere.

Arrivato in procura a Milano come assistente di polizia alla fine degli anni ‘80, fin da subito lavorò con Di Pietro. Prima dell’arresto di Mario Chiesa, l’allora presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio finito in cella per aver intascato una rata da 7 milioni di una tangente per la concessione di un appalto, - operazione a cui Rocco aveva preso parte assieme ai carabinieri - con Di Pietro aveva già collaborato ad una serie di inchieste tra cui quella con al centro una maxi truffa delle patenti. "Il lavoro? - rispondeva a chi nel corso degli anni gli avrebbe chiesto di Mani pulite - passava tutto dalla sua anticamera". L’anticamera di Di Pietro, naturalmente, dove però c’era lui, Stragapede, insieme all’inseparabile Spadoni e agli altri uomini della “squadra“ di investigatori che per un paio d’anni, per davvero, era stata in qualche modo al centro del mondo.

Perché dal febbraio del ’92 al dicembre del’94, è il caso di ricordarlo, Mani pulite e i suoi protagonisti furono davvero una specie di valanga che travolse un intero sistema politico. Con Di Pietro che, prima di togliersi definitivamente la toga, alla requisitoria del processo Enimont, chiese e ottenne la condanna dei leader di tutti i partiti di governo di allora (in più il leghista Umberto Bossi).

"A tutti gli interrogatori ho partecipato anch’io" raccontava Stragapede senza vantarsi, lui così silenzioso e muto (quasi), quanto quell’altro, il suo capo, era irruento o ammiccante. "Se ne è andato un amico e un combattente - ricordava ieri il collega Spadoni - è un altro pezzo del mio mosaico che se ne va".

Mario Consani

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