
Triuggio (Monza Brianza), 27 maggio 2020 - Dal 1984 la Cooperativa Sociale Solaris Onlus di Triuggio (Monza) organizza progetti individualizzati per aiutare persone dipendenti da sostanze lecite e illecite. Ora Solaris ha deciso di combattere l’isolamento provocato dalla tossicodipendenza, e di farlo con la musica. Come? ‘Scusa Se Credo’ è il titolo della canzone rap realizzata e cantata dal gruppo ‘Fuoriasse’, composto da Leandro, Francesco e Thomas, tutti e tre ospiti della comunità. "Loro portavano avanti questo interesse artistico in maniera autonoma", racconta lo psicologo di Solaris, Marco Ronchi.
"Perciò abbiamo deciso di unire queste capacità alla possibilità di creare uno spazio d’incontro. Infatti uno dei problemi della tossicodipendenza è che porta le persone ad isolarsi e a perdere la capacità di stare insieme agli altri. Questo progetto è stato molto utile per tutti e tre, e li ha aiutati nei rapporti relazionali". ‘Scusa Se Credo’ è una canzona diretta e forte, che racconta la vita di Leandro, Francesco, Thomas e degli altri ospiti della comunità e per realizzarla è stato coinvolto anche il musicista Stefano Sirianni.
"Il testo racconta in modo molto realistico le loro esperienze - continua Ronchi - Parla del rapporto con la sostanza, ma senza demonizzarla o elogiarla. La descrive per quello che è. I ragazzi raccontano con le rime le loro storie, poi ognuno ne trae il messaggio che vuole. Hanno tutti vissuti diversi che li hanno portati qui da noi e il punto d’incontro è la tossicodipendenza e la passione per la musica. Leandro, Francesco e Thomas hanno avuto la possibilità di lanciare un messaggio di sostegno a chi è in situazioni di difficoltà, a chi non sa come chiedere aiuto, e a chi non riesce ancora a riconoscere di avere un problema".
Ma il progetto musicale non è l’unica iniziativa della Cooperativa Sociale Solaris, che da anni organizza anche un laboratorio di Arteterapia e escursioni di gruppo in montagna, come percorso educativo. Inoltre tra i servizi che la comunità mette a disposizione dei propri ospiti ci sono attività pedagogiche guidate da educatori, colloqui di sostegno psicologico, di psicodiagnosi e incontri di psicodramma. Durante il lockdown per contenere l’emergenza sanitaria del coronavirus, la comunità è rimasta sempre aperta e si è dovuta riadattare. "I ragazzi vivono qui", spiega ancora Ronchi.
"Abbiamo dovuto ridurre le loro uscite e questo periodo ha avuto un impatto molto forte soprattutto per chi stava attraversando un percorso di reinserimento e stava cercando lavoro. Ma hanno capito tutti che non era colpa di nessuno, e si sono riusciti ad adattare. Per intrattenerli abbiamo dato loro la possibilità di organizzare dei corsi autogestiti, come quello di street art organizzato da un ospite appassionato di graffiti. Inoltre abbiamo ripulito un terreno che era pieno di erbacce e rovi, creando così un orto. Ora i ragazzi hanno ricominciato ad andare a trovare i parenti, ma quando tornano in comunità devono indossare la mascherina negli spazi comuni".