SIMONA BALLATORE
Cronaca

Quando facevamo scuola: appunti per ripartire

Dalla didattica sperimentale al medico scolastico che seguiva la crescita degli alunni. I racconti di ex insegnanti in prima linea.

di Simona Ballatore

"Tagli continui e figure fondamentali che nel tempo sono state “smantellate”, dall’insegnante in compresenza al medico scolastico. E pensare che negli anni ’60, ’70 e ’80 avevamo un sistema scolastico che ci invidiavano anche all’estero: facevamo scuola". Nei racconti degli insegnanti oggi in pensione la storia di Milano e delle comunità scolastiche, ma anche appunti per una possibile - seppur ardua - ripartenza.

La prima immagine da insegnante di Piera Caramellino è alle porte di Milano: classe 1938, si era appena diplomata al classico Carducci ed era alla sua prima supplenza a Barlassina. "Dovevo andare a prendere i ragazzi a casa e convincere i genitori dell’utilità di mandare i figli a lezione", ricorda. Lei, che si era salvata per miracolo sotto il bombardamento della scuola di Precotto ed era stata costretta a saltare le elementari, non avrebbe mai creduto che l’insegnamento sarebbe stato la sua vita. I tre anni alle medie furono complicati, riuscì a entrare al Carducci e poi all’università: studiava e lavorava, fece esperienze anche negli Stati Uniti prima di tornare a insegnare alla scuola superiore Lombardini e poi alle medie e all’Humanitas. Ricorda gli anni del boom demografico, quando mancavano davvero gli spazi e si dovevano cercare aule “speciali”, un po’ come adesso, ma per il distanziamento. "Ora ci sono molte più possibilità di allora - sottolinea - ma bisogna puntare di più sulla professionalità degli insegnanti e tornare a guardare negli occhi i bambini".

Norina Vitali, 72 anni, ha alle spalle un diploma allo scientifico Leonardo da Vinci, una laurea alla Statale e 42 anni di insegnamento: ha iniziato da una supplenza alle superiori, ha scelto le medie. "Perché mi interessava di più l’aspetto della metodologia didattica, soprattutto in quelle realtà dove la scuola poteva fare la differenza, con i ragazzi che vivevano in contesti difficili". Dall’hinterland milanese alla Barona. Poi la scelta delle scuole sperimentali, da Opera a Rinascita, dove ha insegnato per 25 anni, fino alla pensione. "Quando ho lasciato la scuola, undici anni fa, pensavo di non farcela, volevo essere ancora utile, gratuitamente. Era la mia vita - confessa -. Ma con tutti i tagli che ci sono stati negli anni, non c’erano più le condizioni per una didattica sperimentale e innovativa". Primo problema: "Il taglio degli insegnanti, con quelle ore di compresenza che facevano la differenza e che permettevano laboratori e uscite. Il rapporto è tornato a essere cattedratico". Altro errore: "Reintrodurre il voto alle elementari e alle medie. Numeri che etichettano e rendono difficile una valutazione formativa, basata sull’errore come risorsa".

Altra figura che non c’è più - e che viene evocata ad ogni crisi - è quella del medico scolastico. Che già negli anni ’80 iniziava a perdere pezzi. "Era fondamentale nella scuola - ricorda la prof Vitali - negli anni ’70 era molto presente: almeno due o tre volte alla settimana veniva a scuola. All’inizio dell’anno visitava ogni alunno della classe, controllava il piano vaccinale, la vista, i “pidocchi”. Era un punto di riferimento: se le insegnanti notavano qualcosa di particolare negli alunni, li visitava e informava la famiglia". Un tassello fondamentale anche per la prevenzione. "Penso che questa emergenza finirà per aggravare la situazione - scuote la testa l’insegnante -. Servono finanziamenti, bisogna ripartire dalle persone e da un aggiornamento formativo continuo. E attenzione con la didattica a distanza: ha escluso troppi ragazzi, soprattutto chi aveva più bisogno. Per parecchi bambini e ragazzini la scuola è finita il 5 marzo".