
Oleg Fedchenko e la sua vittima
Milano, 5 settembre 2015 - Il pentimento, la consapevolezza del dolore inflitto, le scuse? «Parole, chiacchiere. Io so il dolore che hanno provato quelle persone, figli, marito, una famiglia coesa e inserita di bravi lavoratori, quando il meteorite Oleg è cascato addosso alla loro madre e moglie. E di fronte a quello i “mi spiace” sono troppo poco, sono niente». Niente, come il risarcimento che questa famiglia laboriosa e per bene ha ricevuto o potrà mai ricevere, niente. L’avvocato Fabio Belloni è il difensore di parte civile della famiglia di Emlou Arvesu, la donna di nazionalità filippina di 41 anni che il 6 agosto 2010 Oleg Fedchenko, 25enne pugile dilettante ucraino, incrociò per caso in strada a Milano in viale Abruzzi e ammazzò a mani nude. Sulla faccia della poveretta, ci aveva visto il diavolo, disse. E Oleg, dopo una perizia psichiatrica disposta dal giudice Roberta Nunnari, venne ritenuto affetto da una grave forma di schizofrenia paranoide, quindi totalmente incapace di intendere e di volere. Non imputabile, non processabile, il gup dispose una misura di sicurezza di 5 anni, rivalutabili, in ospedale psichiatrico giudiziario.
Ma solo dopo 2 anni e 7 mesi a Castiglione delle Stiviere, Oleg è stato dato per perfettamente guarito. E rispedito a casa sua (nel settembre 2014) in Ucraina. Sano di mente, non più pericoloso, sinceramente dispiaciuto per il dolore arrecato. «E noi, come parte civile, non ne sapevamo nulla - dice Belloni -. Certo, proceduralmente non c’era obbligo di informarci, trattandosi di uno dei riesami progressivi dell’evoluzione della pericolosità sociale» del malato-detenuto, «e trattandosi di un procedimento sotto il controllo del tribunale di sorveglianza e non in udienza pubblica». Eppure? «Eppure, stante il non obbligo alla notifica di una liberazione anticipata, questa mi ha effettivamente molto stupito. Da un lato, se i medici dichiarano cessata la pericolosità, non c’è ragione di tenerlo dentro, dall’altro l’effetto mi suona paradossale: questo signore al momento dell’omicidio non è in cura, commette un reato gravissimo, si scopre che è pazzo, ne viene dichiarato il vizio totale di mente, e dopo meno di tre anni guarisce miracolosamente...».
Ciò che sottolinea l’avvocato Belloni: «La famiglia di Emlou con questo sistema non ha ricevuto alcun risarcimento né lo riceverà da nessuno: un tempo c’era una polizza stipulata dalla Regione Lombardia per le vittime di reati come questo, che non è stata più rinnovata. E la direttiva europea di instaurare un fondo per le vittime di fatti violenti è rimasta una raccomandazione senza alcun decreto attuativo. La nostra politica ha trovato tempo e risorse per far di tutto ma non per tutelare le vittime di fatti così gravi». Vie d’uscita? «Una presa in carico statuale della situazione da parte dei servizi sociali del Comune, ma qui ci troviamo di fronte a una famiglia ben strutturata, persone che lavorano e studiano, non in stato di abbandono». Non è gente da servizi sociali. «Già. L’amaro succo? Chi ha dato ha dato, e chi ha avuto ha avuto».
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