Paderno Dugnano (Milano) – Dopo la strage di Paderno Dugnano di agosto, la psicoterapeuta Giada Maslovaric si era presa cura di tutta la comunità. Adolescenti, genitori, insegnanti rimasti sconvolti dal triplice omicidio che aveva visto il fratellino Lorenzo di 12 anni e i genitori Daniela e Fabio. Esperta in trauma, aveva il 17enne Riccardo uccidere con 68 coltellate condotto un intervento Emdr nelle scuole, ancora prima che le lezioni ripartissero. Domani sera il Comune le consegnerà la Calderina d’Oro, la massima onorificenza civica.
Dottoressa, cosa pensa di questo riconoscimento?
“È un premio sorprendente e inaspettatamente bello. Il lavoro è stato collettivo. Anche il Comune si è mosso subito, in modo dialogante e cooperativo. Soprattutto in ascolto dei professionisti e questo non è scontato. Tante realtà, dopo eventi così traumatici, vanno in chiusura, in evitamento. A Paderno c’è stato un grande movimento coraggioso. Si è agito col cuore”.
Per lei cosa ha rappresentato questo incarico?
“È stato il più complesso. Dalla strage di Erba in avanti ho visto tanti omicidi, infanticidi, sono stata nelle terre segnate dal terremoto, come L’Aquila. Ma qui ero nelle mie scuole, nel mio paese. Sono rimasta anch’io sconvolta da quello che è successo. Ma sono fiera della risposta data dal mio territorio”.
Il percorso Emdr si è concluso nelle scuole?
“Sì, perché l’obiettivo è proprio di agire in tempi rapidi sulla rielaborazione dei dettagli più disturbanti e faticosi. Abbiamo iniziato con le persone più vicine a Riccardo e Lorenzo. Abbiamo seguito in tre incontri i compagni di scuola, gli amici, gli insegnanti. Altre sessioni psicoeducative e di prevenzione sono state aperte a tutta la cittadinanza, come la serata con il dottor Alberto Pellai, che ha rappresentato un passaggio di testimone. Come genitori ed educatori non possiamo controllare tutto dei nostri ragazzi, ma dobbiamo impegnarci ad alzare lo sguardo. Dopo 20 anni, vorrei spostarmi sulla prevenzione: bisogna lavorare quando i banchi sono pieni e non quando ce ne è qualcuno vuoto”.
Cosa le ha lasciato questo ciclo di incontri a Paderno?
“Sono rimasta colpita dalla fatica dei genitori. Lo spavento nel non sapere cosa accade nella cameretta dei figli e nei loro smartphone. Il loro senso di sicurezza è stato molto scosso. Tra adulti e adolescenti c’è una distanza fisiologica. L’adolescenza è il momento in assoluto in cui si sperimenta la differenziazione. Ma oggi c’è altro”.
Cosa?
“Un mondo che corre molto più velocemente. Abbiamo sempre meno strumenti per stare al passo dei nostri ragazzi. Dobbiamo capire come riuscire a fermarci più tempo in uno scambio vero e comunicativo, anche in silenzio, senza frenesia”.
Smartphone e social ci allontanano ancora di più dai figli?
“L’adolescente si annoia più velocemente, a causa della dopamina. Ma oggi il suo cervello è disabituato ad articolare più parole e a stare, a sostare in un ragionamento. Ormai abbiamo diversa letteratura scientifica che ci parla degli effetti dei cellulari su grado di attenzione, interazione, funzioni cognitive. Non significa demonizzare mezzi che hanno potenzialità infinite ma avere un senso critico, capire come limitare l’impatto e proteggere i ragazzi da un cambiamento sempre più veloce”.
Ci sono progetti su Paderno?
“Nella mia testa sì, ma devo ancora proporli. Mi piacerebbe un festival dedicato all’adolescenza sui temi del fallimento e della vergogna. Sono stata a Matera: davanti a 600 ragazzi abbiamo parlato di suicidio e vergogna. Sono temi delicati, che non dobbiamo banalizzare, e credo sia importante trattarli nell’hinterland milanese, perché questo è il luogo più iperperformante d’Italia. In qualsiasi settore, a partire da qualsiasi età”.