REDAZIONE MILANO

Cristina, voce delle siriane: "Terrorizzate dalla guerra vivono soltanto per i figli"

Interprete di mestiere, aiuta le donne in Stazione Centrale a Milano. Non è invadente, si lascia travolgere dalle storie senza fare domande, ascolta senza chiedere di Nicola Palma

Cristina Bocchi

Milano, 9 marzo 2015 - La giovane donna scappata da Aleppo lasciando indietro il marito: «Non c’era denaro sufficiente per partire in due». La mamma che ha perso il suo bimbo di un anno in una tragica traversata nel Mediterraneo. E quella così terrorizzata dal regime totalitario di Assad da aver paura persino di mangiare: «Sarà mica avvelenato?». Paure del passato. Le siriane faticano a tirarle fuori. Ancora meno parlano a cuore aperto dei loro sentimenti. Di quello che hanno provato a salutare una terra che forse non rivedranno mai più, «anche se in tasca conservano sempre le chiavi di casa». Con Cristina è diverso. Lei le capisce. Non è invadente. Si lascia travolgere dalle storie senza fare domande. Ascoltare senza chiedere. Consolare senza compiangere. Ormai è diventato il secondo mestiere di questa signora dal corpo minuto e dagli occhi spiritosi. Che pure ieri mattina è passata al mezzanino della Stazione Centrale per salutare i volontari che da un anno e mezzo accolgono a Milano le migliaia di profughi in fuga dalle guerre in Africa e Medioriente. «Sono iscritta all’albo degli interpreti giurati», esordisce. Da 15 anni traduce marocchino e tunisino per il Tribunale: intercettazioni da decriptare per conto della Narcotici, confessioni di carcerati a San Vittore e ora, con sempre maggiore frequenza, udienze per i rifugiati politici in attesa di asilo.

Quando ha cominciato a venire qui?

«Nell’autunno del 2013, se non ricordo male. In quel periodo, ho conosciuto una mamma palestinese nella scuola che frequenta mia figlia: mi ha parlato dei siriani in arrivo a Milano, così ho deciso di dare una mano anch’io. All’inizio non è stato mica facile entrare in contatto con queste donne: riservate, impaurite da tutto, persino dal cibo».

Cioè?

«Mi è capitato di incontrare una signora che aveva persino paura di mangiare. Mi ha detto: “Non sarà mica avvelenato questo cibo...”. Per non parlare di tutte quelle persone che temono di confidarsi con qualcuno: sa, il regime di Assad si basava specie in passato su spie disseminate un po’ dappertutto, era pericoloso esporsi».

Cosa le dicono le siriane?

«Io faccio poche domande: chiedo solo se hanno il passaporto, se hanno parenti ad attenderle in Germania o negli altri Paesi del Nord Europa. Loro a volte mi raccontano della loro terra, anche se nessuna di loro, almeno finora, ha mai espresso il desiderio di tornare indietro in un futuro anche lontano: le loro case sono distrutte, le scuole chiuse, le attività commerciali fiaccate dalla guerra. Non vedono alcuna prospettiva per la Siria, anche se in tasca conservano le chiavi di casa».

Cosa sanno dell’Italia?

«Poco. Molte hanno studiato e conoscono pure la storia di Roma antica, ma non serve a molto quando ti ritrovi catapultata in una realtà sconosciuta».

Cosa sognano?

«Un futuro più sereno».

Che analogie trova con le donne italiane?

«Sono legatissime ai figli, li accudiscono e li proteggono. Ci somigliano molto, anche perché io credo ci sia un’anima mediterranea ad unirci. Oggi (ieri, ndr) è la festa della donna per tutte. E io stasera canterò per loro nel mio coro. Perché la solidarietà è un valore da diffondere».

di Nicola Palma