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Immigrati a Milano, i problemi interni alla Croce Rossa bloccano l’apertura del nuovo Cara

Consegnata una settimana fa, la struttura di via Aquila è ancora chiusa di Benedetta Della Rovere

Emergenza profughi

Milano, 24 giugno 2015 - Un edificio a due piani, ridipinto di fresco, dietro un grande cancello. Deserto. È così che si presenta il Cara di via Aquila, il nuovo Centro d’accoglienza per richiedenti asilo. La struttura, mai inaugurata, sorge alle spalle dell’ex Cie di via Corelli, adibito al ricovero temporaneo di migranti. Panni stesi, voci, bambini che corrono, un via vai di pullmini carichi di vestiti e vettovaglie da un parte. Silenzio, porte e finestre chiuse dall’altra. Anche il Cara, affidato in gestione dal Ministero dell’Interno alla Croce Rossa, è destinato a dare un letto fino a un massimo di 200 ospiti. Il budget è, come sempre, di 35 euro al giorno a persona per un massimo di 210 mila euro al mese a piena capienza. Il ministro Angelino Alfano il 15 giugno, dopo un incontro in Prefettura, ne aveva annunciato l’apertura. Le chiavi sono state consegnate alla Croce Rossa il giorno stesso. L’edificio, assicurano, è pronto. Un sopralluogo lo ha fatto pure l’assessore al Welfare Pierfancesco Majorino, e a suo dire non ci sono grandi interventi da fare. Di diverso avviso il presidente del comitato regionale della Croce Rossa, Maurizio Gussoni: «Per essere a norma abbiamo dovuto abbattere un muro nella zona della mensa: gli operai ne avranno ancora per un paio di giorni». Di quei posti letto, però, c’è davvero bisogno, tenendo conto che gli sbarchi sono destinati a proseguire per tutta l’estate.

La priorità è evitare che la Centrale si trasformi di nuovo in un grande dormitorio. E mentre Grandi Stazioni mette a disposizione uffici dismessi e il Memoriale della Shoah apre a chi cerca un rifugio per la notte, il Cara resta chiuso. E c’è già chi – anche da Palazzo Marino – parla di ostacoli ingigantiti ad arte. «Noi non cerchiamo la polemica – taglia corto Majorino – la priorità è che la struttura venga aperta». Ma quella dei tempi non è l’unica ombra che si allunga sulla gestione del Cara. A prendere le redini sarà il comitato provinciale della Croce Rossa: «L’attività sarà interamente condotta mediante utilizzo di personale dipendente», assicura il presidente Antonio Arosio in una lettera inviata ai soci il 15 giugno. «Serviranno almeno una decina di persone», conferma Gussoni. Saranno tutti dipendenti assunti col contratto Aps, di tipo privato, che Croce Rossa ha sottoscritto dopo che, per volere del governo Monti, si è avviata verso la privatizzazione.

A Milano, però, la Croce Rossa regionale, che è ancora ente pubblico, può contare su 200 dipendenti, molti dei quali stabilizzati dopo lunghe cause di lavoro. Sono tutti formati e specializzati. Sanno riconoscere in un batter d’occhio i sintomi della malaria e i segni lasciati dalla scabbia. In quest’occasione, però, non verrano schierati. «È una questione di costi – spiega Gussoni – nei Cara non possono essere usati perché la legge dice che non possono essere firmate convenzioni in perdita, altrimenti si fa un danno erariale: la diaria quotidiana prevista come rimborso per questo servizio non copre il personale pubblico, che costa enormemente di più di quello privato». Troppo cari, anche per prestare servizio in ambulanza, sono impiegati nei centri diurni, come aiuto ai senzatetto o per il soccorso di «prossimità», ossia per presidiare a piedi le stazioni e il centro, armati solo di qualche garza e un telefonino per chiamare il 118. «Siamo inutili – protestano loro – non abbiamo nemmeno collarini e defibrillatori». In una parola, sono «esuberi», spiega Gussoni. Un enorme spreco di denaro pubblico.