FA. LU.
Cronaca

Il Principe di Savoia ha un nuovo chef: “Io, a 33 anni alla guida dell’Acanto grazie alla gavetta: è finita l’era di cuochi-star e delle apparenze”

Dopo un lungo apprendistato prima a Londra e poi in Italia, arriva il riconoscimento per Matteo Gabrielli. “La cucina è onestà, linearità, rispetto delle materie prime. Da ogni maestro ho imparato qualcosa”

Matteo Gabrielli, chef del ristorante Acanto, all’interno dell’Hotel Principe di Savoia Milano

MILANO – Da ogni chef con il quale ha lavorato, nel suo lungo apprendistato, ha imparato qualcosa. Perché la storia di Matteo Gabrielli, 33 anni, smentisce la vulgata sui giovani di oggi che non hanno poi tanta voglia di lavorare e mettersi in gioco. Lui, a 16 anni, studente dell’istituto “Giovanni Falcone“ di Gallarate, ha cominciato la sua carriera da uno stage a Londra, in Inghilterra, al “Toto’s Restaurant“ con chef Paolo Simioni. Da lì, non si è più fermato nella sua scalata nel mondo della ristorazione. Senza mai adagiarsi nelle “comfort zone“.

Allora sono arrivati un posto in brigata nel Four Season Park Lane al fianco di Adriano Cavagnini (“da lui ho imparato l’organizzazione di menù, personale, emergenze. Nel panico, compariva lui e sistemava tutto”, sorride Matteo nel ricordare), poi un ruolo nel Mandarin Oriental Hyde Park, sempre a Londra, vicino al leggendario autodidatta Heston Blumenthal, tre stelle Michelin. “Da Blumenthal ho capito l’importanza dell’approccio scientifico alla materia prima: la cucina è chimica e fisica – spiega –. Lì avevamo 120 coperti a pranzo, altri 190 a cena, 25 ragazzi in brigata. Ebbene, era tutto standardizzato, prima lo studio meticoloso di ingredienti e metodi, poi la preparazione doveva essere uguale per tutti, anche se fatta da una mano di volta in volta diversa. La padella, le quantità di acqua, sale e il resto: tutto misurato alla perfezione, tutto inserito in un ricettario". Abitudini che Gabrielli ha poi adattato al suo modo di vedere la vita. "Sembrava più una fabbrica che una cucina, ma ho cercato di prendere il meglio anche da quell’approccio".

Ancora oggi, studia le ricette, fra tradizione e innovazioni. "Su libri, Internet e, soprattutto, sperimento, perché non sempre l’idea che hai in testa, nel concreto, funziona. E allora bisogna saper variare, assaggiare, riprovare. Fino al miglior risultato”. Perché il cliente è sempre al centro. Anche quando, come a Londra, capita il magnate russo di turno “digiuno“ di cultura culinaria ma dal grande appetito. "A cena vide per la prima volta un tartufo bianco – sorride Gabrielli –, non sapeva cosa fosse. Dopo averlo assaggiato, se ne è innamorato al punto da chiedere di averne subito uno da 200 grammi, pelato e bollito come fosse una patata. Un collega di brigata piemontese, vedendo quella scena, è giustamente inorridito".

Dopo Londra, la voglia di mettersi in gioco riporta Matteo in Italia, al Pellicano di Porto Ercole, con Antonio Guida ("lì ho imparato come garantire la qualità di stelle Michelin con la mole di lavoro in una stagione estiva"), e all’opposto, a Courmayeur al “Petit Royal“, dove si è ritrovato con tre colleghi a fare da soli tutto - dal pane ai dolci - per 15 coperti. “Splendida possibilità di sperimentare”. Finalmente, il ritorno “a casa“, a Milano, per tre anni al Four Season con chef Vito Mollica e un passaggio nella banchettistica (“lì ho imparato da zero, a gestire grandi numeri da solo”) e nel 2019 all’Hotel Principe di Savoia: 4 anni da sous chef, ora alla guida del ristorante Acanto. La prova della maturità. Dove cerca di trasformare in piatti la sua filosofia di vita e di cucina: rispetto delle materie prime, studio, linearità pur nella ricerca. “Perché la bolla degli chef superstar è scoppiata, la gente non accetta più di essere abbagliata dalle apparenze e magari neppure ricordarsi poi cosa ha mangiato. Si cerca sempre più la sincerità e l’onestà di una bella serata. Un fenomeno positivo. E noi cerchiamo di dare al cliente un rifugio sicuro, abbattendo i pregiudizi e la presunta distanza dai milanesi di un’icona dell’hôtellerie mondiale come il Principe di Savoia”. Tornando alle origini. Ai piatti della tradizione lombarda, rivisitati e attualizzati. Perché, come insegna la storia di chef Gabrielli, non si smette mai di imparare.