
Ghisa controllano un automobilista
Milano, 10 novembre 2014 - Nove anni di odissea, e tra le dita resta una prescrizione. Quasi un decennio per una sentenza d’appello che alle spalle - fra inerzia investigativa e richieste di archiviazione conseguenti - produce un solo effetto: la pena nel cestino. Si dovrà accontentare di una giustizia simbolica quel cittadino che, accusato ingiustamente di aggressione da un vigile urbano, passò per le forche caudine di un processo (da cui alla fine va assolto), per poi trasformarsi da accusato ad accusatore e ottenere la condanna del suo denigratore. Con la conseguenza, però, che nei larghi spazi di indagini nulle fino all’imputazione coatta con cui il gip “costringe“ il pm a intervenire, la calunnia del vigile va prescritta, anche grazie alle decurtazioni di legge che da 15 anni portano a 7 anni e mezzo, e con l’asperità aggiuntiva che per condannare il calunniatore è necessario prima provare l’innocenza dell’infamato.
E’ emblematico il caso di Alessandro Aperti, finito, in una discussione con due ghisa del comando di Zona 5 di viale Tibaldi (Francesco Bartucci e Luigi Palumbo), ingiustamente imputato di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, e che assaggia nel settembre 2014 l’amaro dessert: pur assolto, lui, pur condannati vigili, per il calunniatore c’è la prescrizione confezionata, e per la falsa testimonianza del collega (avvenuta successivamente a processo) una prescrizione annunciata. Storia di cui meglio parla la cronologia dei fatti. Il 14 maggio 2005 in via San Paolino, Aperti discute coi ghisa per una multa non dovuta (non c’era divieto di sosta), e il 12 ottobre segue a suo carico denuncia scritta (con tanto di inesistenti lesioni sofferte da Bartucci). Il processo ad Aperti, dal febbraio 2008 arriva al 23 marzo 2009 alla sua assoluzione e alla trasmissione degli atti in Procura contro Bartucci e Palumbo per calunnia e falsa testimonianza.
Fin qui lentezze fisiologiche, ma da qui qualcosa si inceppa. Quando Aperti chiede al Comune il risarcimento per l’offesa sofferta da un dipendente pubblico, il Comune risponde che non si può: non c’è un processo radicato. E infatti il 18 novembre 2009 il processo ancora non c’è. Tanto che la parte civile, avvocato Luigi Bruciamonti, il 29 dicembre 2009, visto che «all’ordine del giudice» non erano seguite «iniziative da parte del pm», e «attesi i notori impegni di cui all’epoca era gravato il sostituto Fabio De Pasquale (processi Mediaset e Mills, ndr)», chiede che il fascicolo sia assegnato ad altri. Niente da fare, De Pasquale non molla. L’8 aprile 2010 il pm è pungolato da un refresh della parte civile, ma il 10 giugno non ha ancora preso iniziative tanto da essere pregato «di assumere doverosamente il provvedimento qual si voglia», vista l’obbligatorietà dell’azione penale. La decisione arriva il 5 ottobre 2010, ed è richiesta di archiviazione. Bocciata il 25 febbraio 2011 dal gip che ordina l’imputazione coatta. Il rinvio a giudizio porta alla condanna di primo grado dei due vigili il 9 aprile 2013: Bartucci, 2 anni per calunnia, Palumbo, uno e 4 mesi per falsa testimonianza. Ma la vittoria muore in appello, con l’odissea finita nel cestino.
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