ENRICO CAMANZI
Cronaca

Pogue Mahone’s, 30 anni d’Irlanda a Milano

Festa per lo storico pub di Porta Romana, il primo barista: "Siamo una famiglia, qui c’è un’atmosfera unica"

Pogue Mahone’s, 30 anni d’Irlanda a Milano

Per l’affezionato pubblico di avventori del Pogue Mahone’s, il pub irlandese di Porta Romana, è stato a lungo un punto di riferimento. Un barman fidato, un amico con il quale fare due chiacchiere, un professionista che ha allevato generazioni di baristi. Massimiliano Lomi – ma per tutti è Max del Pogue – oggi ha abbandonato il suo posto dietro il bancone del locale di via Salmini in buone mani.

Nessuno meglio di lui, però, può raccontare i 30 anni del Pogue – com’è noto fra i clienti – fondato nel 1993 e diventato uno dei pub, irlandesi e non, più noti d’Italia. Lo fa per Il Giorno, alla vigilia della festa in programma oggi dalle 11.30.

Come venne l’idea di aprire un pub?

"Mio zio Emilio all’inizio degli anni ‘90 voleva aprire un locale. Uno suo amico gli presentò Patrick, un ragazzo irlandese che viveva a Milano e voleva gestire un pub irlandese. S’incontrarono e decisero di partire con l’avventura del Pogue Mahone’s. Dopo un paio di anni Patrick tornò in Irlanda. A quel punto subentrai io".

Chi scelse il nome? (Pogue mahone è l’anglicizzazione di un’espressione triviale gaelica, ndr).

"Il merito fu di Patrick, irlandese del Donegal, che utilizzava spesso questa esclamazione. Patrick rappresentò un’enorme fortuna per il Pogue, perché portò la comunità irlandese di Milano e della Lombardia a frequentare il pub".

Come sono stati i primi tempi?

"Non semplici... Meno male che c’era Patrick. Aveva un seguito di una trentina di irlandesi che ci aiutarono a pagare i primi affitti. Successivamente si sparse la voce e il pubblico iniziò a crescere. In quel periodo i pub con un’ispirazione simile non erano moltissimi. La differenza, in quel primo periodo, l’ha fatta questo zoccolo duro di provenienza rigorosamente irish".

Che identità ha il Pogue Mahone’s?

"A mio parere sono pochi i locali con un carattere tanto personale. Nei miei 25 anni dietro il bancone di via Salmini tutti mi hanno sempre detto che bastava entrare nel pub per sentirsi in Irlanda. E il passaparola ha trasmesso proprio questo messaggio: ‘vai al Pogue perché sembra di stare in Irlanda’. Il nostro è sempre stato un locale dove ci si ritrova e si crea una sorta di famiglia. Tanto che in questi giorni, ripensando al traguardo che abbiamo centrato, mi è venuta l’idea di ribattezzarlo ‘Pogue my home’, il Pogue è la casa di tutti i suoi avventori".

Fra i momenti particolari nella lunga vicenda del Pogue, c’è sicuramente la visita di Shane Mac Gowan (il cantante dei Pogues, leggendaria folk-punk band angloirlandese, ndr). Cosa ricordi di quel giorno?

"In quello storico incontro c’è sempre lo zampino di Patrick. Era andato con alcuni amici ad assistere a un suo concerto e riuscì a fare amicizia con Shane. Lo invitò al pub. Decidemmo di far entrare solo i clienti fissi, per evitare che il locale esplodesse. Fu davvero un momento indimenticabile, anche perché la salute di Shane stava già mostrando cedimenti, a causa del suo vizio. Ma fu un piacere enorme vederlo lì al banco, assieme agli avventori più affezionati. Per me è stata una svolta fondamentale. Era come se fosse entrato al pub il Signor Pogue".

Qual è il segreto del successo del Pogue?

"Le persone che, negli anni, lo hanno frequentato, come avventori ma anche come baristi. Personaggi noti come Alessandro Cattelan, che ha iniziato in tv, l’altro vj Federico Russo, il cantante e dj Andrea Rock, il pugile Marvin Hagler. Ma anche personaggi ‘sconosciuti’ che per il pubblico del locale sono piccole leggende. Mi piace pensare che il Pogue sia un ‘contenitore’, ma chi lo fa siano i clienti e le persone che qui hanno lavorato. Il bello del nostro pub è che al bancone puoi scambiare due chiacchiere con l’avvocato come col muratore".