REDAZIONE MILANO

Un plastico metavisuale per raccontare il territorio in modo emozionale

Paco Simone, imprenditore milanese 37enne ha brevettato un sistema capace di fornire informazioni e vivere un’esperienza 3D reale con una narrazione avvincente e di tipo onirico di GIUSEPPE DI MATTEO

Il metaplastico

Milano, 10 marzo 2016 - La sua azienda, ARPANet, è nata nel giugno del 1998, dodici giorni prima di Google, colonizzando da subito il mondo del Web quando questo era ancora un universo sconosciuto ai più. Un colpo di genio destinato a durare molto più di un battito di ciglia. Paco Simone, imprenditore milanese 37enne, ha trasformato la sua creatura negli anni, ma con una missione molto chiara: utilizzare internet e le tecnologie per raccontare delle storie e migliorare la vita delle persone.  Già nel 1996 aveva creato un sito amatoriale per chi avesse esperienze da condividere.

Poi la nascita di ARPANet, fino ad arrivare, a suon di esperimenti, all’ultima grande invenzione, con tanto di brevetto: un avveniristico plastico metavisuale, ideato per Expo 2015, in grado di offrire una visione d’insieme di un paesaggio, un edificio, una città o un territorio, grazie a un sistema di multiproiezioni su plastico reale. Il risultato finale è uno storytelling di tipo emozionale che fornisce alcune informazioni. Per ammirare questo piccolo grande spettacolo non sono necessari occhiali polarizzati o altri dispositivi-filtro: il 3D, infatti, si genera materializzandosi di fronte allo spettatore, che viene catapultato all’interno di un suggestivo scenario virtuale-reale.

“Il nostro progetto nasce nel 2007 - ricorda Simone - quando partecipammo a una gara d'appalto bandita da Expo 2015, stravincendo. La nostra idea era quella di rappresentare in modo avvincente la visione d'insieme del masterplan, anche in rapporto a Milano e all'intero Paese. Con un linguaggio di tipo cinematografico. Non a caso, il nostro prodotto è molto utile per le amministrazioni pubbliche, ma può essere utilizzato anche per promuovere la scoperta, o la riscoperta, di tutti quei beni culturali che per loro natura non è possibile esporre in un museo, come i complessi monumentali”.

L’azienda oggi è formata da sei persone e da un numero variabile di collaboratori che si ingegnano per fare delle tecnologie un veicolo di cultura, e non solo di prodotti innovativi fini a se stessi.  “Ho un passato di studi umanistici - ricorda Simone -  e ARPANet nasce anzitutto come casa editrice, pubblicando opere di narrativa contemporanea”. Il sistema è semplice: si crea un contest online nel quale chiunque può caricare i propri elaborati, che vengono prima valutati dal pubblico e poi analizzati da un’apposita commissione incaricata di pubblicare i migliori. Simone Paco

Non ci si ferma qui. Quello di ARPANet è infatti uno straordinario laboratorio di idee che si materializzano dalle esigenze delle persone, con l’obiettivo di risolvere i problemi quotidiani. ‘Blu Oberon’, start-up innovativa da lui recentemente fondata, ha per esempio ideato i ‘Semiperdo’, che permettono di ritrovare persone, animali e oggetti smarriti grazie a un braccialetto o collare contenente un microchip. È sufficiente avvicinare uno smartphone al Semiperdo per ottenere dal sistema la posizione esatta di ciò che si sta cercando, segnata su una mappa, dando inoltre la possibilità a chi lo ritrova di contattare immediatamente il proprietario. Un sistema efficace, molto utile anche per i bambini. “Pensi quando si perdono in spiaggia - precisa Simone - adesso sarà più semplice ritrovarli”. 

Altre idee nascono anche dagli amori. Sua moglie Francesca, che ha costruito con lui ARPANet, nel 2012 ha infatti fondato ‘Bea Barthes’, che sta rivoluzionando il mondo della sartoria tradizionale offrendo abiti su misura per bambini fino ai 6 anni che, grazie a una app, possono essere decorati online on-demand dal cliente, e senza tradire i canoni tradizionali del made in Italy. Ma per questo piccolo Archimede metropolitano l’invenzione più grande è quella di domani. “Vogliamo crescere e migliorare la qualità della vita delle persone - conclude Simone -. Grazie alla tecnologia nessuno è lasciato solo. E non si tratta di controllo, bensì di assistenza, cioè quando occorre. Anche per raccontare il mondo in cui si vive”.

di GIUSEPPE DI MATTEO