NICOLA PALMA
Cronaca

Minacce e intrusioni in casa: restituita l’arma all’avvocato delle grandi aziende

Il Tar annulla il provvedimento della Prefettura che aveva negato il rinnovo del porto di pistola al professionista: “Corre pericoli che non sono stati adeguatamente valutati dall’amministrazione”

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Pistola (Archivio)

Milano, 25 settembre 2024 – Il lavoro di avvocato per le grandi aziende, sia in materia di contratti che nelle controversie legali, lo ha esposto più volte in passato a minacce e pressioni, nonché a misteriosi raid nelle sue dimore abituali di cui non sono mai stati individuati i responsabili.

Il dietrofront

E il pericolo sarebbe ancora attuale, visto che le ultime intrusioni, “senza asporto di denaro o altri oggetti”, risalgono a qualche anno fa. Per questo, i giudici del Tribunale amministrativo della Lombardia hanno annullato il provvedimento della Prefettura che l’anno scorso ha negato il rinnovo del porto di pistola per difesa personale a un notissimo legale, con studio a due passi dal Tribunale e specializzazione in diritto del lavoro e sindacale.

Tradotto: il professionista ha riacquisito il diritto, che va riverificato ogni dodici mesi, di avere un’arma con sé e di portarla anche all’esterno della propria abitazione.

La tesi accettata

Nell’istanza presentata al Tar per opporsi allo stop di Palazzo Diotti, il giuslavorista, assistito dai colleghi Luigi Ceffalo e Filippo Pastorini, ha sostenuto che l’attualità del suo bisogno di portare la pistola “risiederebbe non nella mera appartenenza dello stesso alla categoria professionale di avvocato, bensì alle specifiche aree di specializzazione (diritto del lavoro e sindacale) e modalità di esecuzione della professione legale, che sono idonee a esporlo a vicende delittuose”.

A tal proposito, ha aggiunto, “sussiste prova delle attenzione rivolte all’avvocato” da parte di un “movimento” (il cui nome è coperto da omissis nella sentenza, così come le generalità del legale), “cui hanno fatto seguito ulteriori e gravissimi episodi di intrusione nel domicilio, che non possono che essere direttamente ricondotti all’attività lavorativa da lui svolta”.

Peraltro, “le diverse denunce-querele proposte non hanno mai condotto all’individuazione da parte delle forze dell’ordine e degli inquirenti dei soggetti che si celavano dietro a tali pericolose condotte”. Conclusione: “La Prefettura e le forze dell’ordine non hanno mai dato dimostrazione (e ancora oggi non la danno) circa l’avvenuta neutralizzazione delle minacce e delle vicende delittuose sulla persona del ricorrente”.

La sentenza

La linea del legale ha convinto il collegio presieduto da Antonio Vinciguerra: “Si tratta di un avvocato che rappresenta società datrici di lavoro nelle procedure di stipulazione e rinnovo di contratti collettivi di primo e secondo livello e nelle controversie individuali e collettive di lavoro”.

Un settore, argomentano i giudici, “che presenta rischi di minacce e pressioni fisiche e psichiche, effettivamente denunciati, rispetto ai quali la mancata individuazione dei responsabili o la mancanza di un danno nei confronti della persona dell’avvocato non costituiscono elementi da soli sufficienti a negare l’esistenza di un pericolo attuale, che non è stato adeguatamente valutato dall’amministrazione”.