Pfas nell’acqua Lombarda. Greenpeace: il 6,5% dei campioni inquinati era destinato al consumo umano

La replica dell’associazione ambientalista a gestori e Regione Lombardia: non è vero che le analisi erano state fatte tutte sull’acqua di falda pre trattata. Nuova richiesta di accesso agli atti

Un laboratorio di analisi (Foto Germogli)

Un laboratorio di analisi (Foto Germogli)

Milano – La “guerra” dell’acqua contaminata dai Pfas continua. Da un lato Greenpeace, che denuncia come nell’acqua potabile lombarda siano presenti queste sostanze poli- e perfluoroalchiliche, dall’altro Regione Lombardia e i gestori lombardi della rete idrica, che sottolineano come l’acqua che esce dal rubinetto sia assolutamente sicura per la salute dell’uomo. L’ultima puntata del braccio di ferro arriva oggi: nelle scorse ore l’associazione ambientalista ha presentato al Responsabile per la prevenzione e la trasparenza della Regione Lombardia un’istanza di riesame in merito alla richiesta di accesso agli atti (FOIA) presentata più volte dall’organizzazione ambientalista e a cui la Regione non ha mai dato riscontro. Ma andiamo con ordine. 

La denuncia di Greenpeace

Il 18 maggio Greenpeace Italia aveva lanciato un allarme preoccupante: l’acqua potabile della Lombardia è contaminata dai Pfas. L’organizzazione ambientalista aveva pubblicato un report sulla presenza di sostanze poli- e perfluoroalchiliche basato esclusivamente sui dati fornito dagli enti pubblici (gestori e ATS) tramite istanza di accesso agli atti (FOIA). Subito era arrivata la risposta di Regione Lombardia, a cui la ricostruzione di Greenpeace non era andata giù: "Il sistema idrico integrato in Regione Lombardia risulta essere uno dei più efficienti e garantiti dell'intero Paese – aveva dichiarato  l’assessore Massimo Sertori (Risorsa idrica) – Certe affermazioni generiche creano un allarme infondato tra la popolazione e sviliscono il lavoro serio e professionale che migliaia di persone coinvolte nel processo svolgono quotidianamente proprio per salvaguardare i cittadini". C’è di più: i gestori del servizio idrico in Lombardia (Water Alliance) avevano sottolineato che “prima di uscire dal rubinetto, l'acqua viene infatti sottoposta a un capillare processo di potabilizzazione che esclude qualsiasi danno per la salute”.

Il mancato accesso agli atti

Nei mesi scorsi, nello specifico il 27 ottobre 2022 e il 21 dicembre 2022, Greenpeace Italia ha inviato alla Regione due richieste ufficiali per conoscere gli esiti delle analisi effettuate allo scopo di individuare la presenza di PFAS nelle acque potabili lombarde. La richiesta di riesame arriva dopo che il termine di legge di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza concesso alla Regione affinché si pronunci in merito è abbondantemente scaduto. “La Regione Lombardia, insieme a pochi altri gestori, non ha mai risposto alle nostre istanze di accesso agli atti riguardo la presenza di PFAS nelle acque potabili, violando le normative vigenti. Se per la Regione è tutto sotto controllo, perché non fa un’operazione di trasparenza, così come da anni avviene in Veneto per garantire a tutta la cittadinanza l’accesso alle informazioni?”, chiede Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. 

Ma l'acqua del rubinetto è sicura o no?

Greenpeace ha pubblicato un approfondimenti in merito alla provenienza dei campioni sulla base dei quali poi ha realizzato il report. Da un attento riesame di tutti i dati consegnati a Greenpeace da ATS e dai gestori emerge che 262 campioni (ovvero il 6,5% del totale di circa 4mila) possono essere considerati con ragionevole certezza assimilabili alle acque di rubinetto, e quindi destinate al consumo umano, e indicavano la presenza di PFAS da un minimo 5 nanogrammi per litro (ng/l) a un massimo di 1146 ng/l. Questi dati, secondo le informazioni fornite dagli enti stessi (ATS e gestori), sono accompagnati da diciture come ad esempio “acqua destinata al consumo umano: potabile”, “acqua pozzo post trattamento” “acqua trattata”, “post trattamento”, “uscita filtro” o “uscita impianto”. Il conteggio effettuato da Greenpeace è molto conservativo ed esclude non solo campioni per cui si ha la ragionevole certezza che si tratti di acqua di rubinetto (ad esempio “rete” o “acquedotto”), ma anche campioni etichettati come “miscela”, “pozzo”, “uscita vasca”, “serbatoio”, “grezza”, “pompa”, “falda”, “sorgente” o, in moltissimi casi, addirittura non etichettati.

Cosa chiede Greenpeace

Greenpeace Italia ricorda che, in base alle più recenti evidenze scientifiche, i PFAS sono pericolosi per la salute umana anche a concentrazioni molto basse; pertanto, l’unico valore cautelativo è la loro completa assenza nell’acqua destinata al consumo umano, negli alimenti, nel suolo e nell’aria.

All’estero questo approccio è realtà: negli Stati Uniti l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) indica come limite lo zero tecnico, ovvero il valore più basso che le attuali strumentazioni sono in grado di rilevare, mettendo in pratica il concetto che per i PFAS non esistono soglie di sicurezza. Anche la Danimarca ha adottato da alcuni anni valori estremamente cautelativi per l’acqua potabile pari a 0,002 microgrammi per litro e 2 nanogrammi per litro per la somma di quattro PFAS.

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