
Peck
Milano, 16 gennaio 2018 - Il grande Robert Louis Stevenson pubblicava il suo romanzo «Treasure Island» e nello stesso anno, il 1883, il signor Francesco Peck, salumaio di Praga, apriva un negozio di salumi e carni affumicate in via Orefici, che se non era propriamente un’Isola del Tesoro lo sarebbe diventata un po’ di anni dopo. Nel 1918, fine della Grande Guerra che i nuovi proprietari, i signori Magnaghi, avrebbero salutato portando bottega e sapienza gastronomica nell’attuale sede, in via Spadari. Leone Marzotto ci arriva tutte le mattine appena passate le 8, «a piedi» perché abita vicino e perché le camminate aiutano a pensare, e i pensieri a decidere. Così, 100 anni dopo, Peck si prepara a mettere al mondo un proprio clone, in una città che ha sempre percepito questo brand come un talismano della Milano bene ma anche un pezzo di patrimonio collettivo.
Dopo l’estate, con una formula da «gastronomia di quartiere» che sottintende il preciso intento della gestione Marzotto: 300 metri quadrati, posizionata tra Pagano, Monti e City Life e la medesima formula di via Spadari, anche se s’intuisce che Peck stia cercando di svecchiare l’immagine un po’paludata del passato, senza rinunciare alla discrezione, alla tradizione e al buongusto. Con tanto di visione allargata oltreconfine, perché nel mondo i punti vendita di prodotti Peck non mancano ma una grande vetrina conta: la prima scommessa sarà su Londra, con l’idea di un «Made in Milan» più che un «Made in Italy», prodotti e sapienza di una metropoli lombarda che anche sola crea opinione e la sa vendere. Certo, da Peck è facile convocare il passato. Ma si scopre come la nostalgia non abbia più molto credito e lo abbia invece il coraggio di stare al passo.
Con i tempi, con un pubblico che è quello di ieri ma è anche di oggi e domani: il ristorante «Al Peck», un presidio della buona cucina milanese e fascia alta che rimarrà tale, seppure con qualche ritocco migliorativo; l’Italian Bar a pochi passi dal negozio, che presto funzionerà anche la sera; e il «Piccolo Peck», esperimento riuscito di «mangiare in gastronomia». Parabola di un brand che pure non intende abdicare al suo ruolo: essere il «concept-store» dei sapori meneghini, il laboratorio dove si affinano formaggi e bresaole seguendo regole calviniste e severissime, ma anche il lussuoso mercato coperto dove i prezzi di paté, mascarponi e piatti pronti non sono low cost, ma solo perché la qualità estrema ha un prezzo. Con qualche chicca della maison che attizza la curiosità, come il marbré, stracotto di carne di selvaggina a dadini, cotta e presentata con pistacchio, tartufo nero e gelatina. Leone Marzotto evoca Angelo Stoppani come il grande saggio della storia di Peck, che nel 2013 aveva passato il testimone a suo padre Pietro Marzotto. E ricorda la sua raccomandazione quando lui, giovane avvocato civilista, una manciata di anni fa ha accettato l’invito di papà Pietro e deciso di seguire da vicino le sorti dell’azienda di via Spadari: «Trasformare un prodotto cattivo in uno buono è impossibile. Per trasformarne uno buono in cattivo, basta un attimo».