di Mario Consani
“Reportage sul Dio“. Ma non è un articolo a sfondo religioso quello che un prestigioso collaboratore come Pier Paolo Pasolini pubblica sul Giorno giusto sessant’anni fa, a metà luglio del ’63. È un breve saggio sull’immagine del giovane calciatore di successo, uno qualunque tra i protagonisti di allora, e sul ruolo che già all’epoca la fama calcistica assicurava a ragazzi ancor meno preparati di quelli di oggi a gestirne gli effetti.
Grande appassionato di calcio, giocatore lui stesso appena intravede un pallone a portata di piede, lo scrittore regista non è però l’unico a occuparsi di sport in quell’estate di tanti anni fa sul Giorno, al di fuori, s’intende, della mitica redazione sportiva del nostro quotidiano guidata da Gianni Brera. Di calcio scrive a modo suo anche un altro personaggio che in quel periodo inizia a firmare sul giornale dopo aver detto no a Indro Montanelli che gli offriva una ben retribuita collaborazione con il Corriere della sera. È il maremmano Luciano Bianciardi, venuto a Milano per lavorare alla neonata Feltrinelli (ma poi licenziato) e già autore de La vita agra, romanzo che gli ha dato una celebrità che vive come un paradosso, visto che le sue feroci critiche alla borghesia milanese hanno prodotto non gli strali che si attendeva ma coccole e lusinghe che lo mettono in crisi. Non ne uscirà vivo, in una spirale di alcol e depressione che segnerà la sua fine nemmeno 50enne.
Ma intanto, sempre nell’estate di 60 anni fa, Bianciardi tiene sul Giorno la rubrica di note sulla città “Parliamo di Milano“, nella quale in luglio dedica attenzioni al golden boy ventenne Gianni Rivera che ribattezza “Cecilio“, "versione maschile - scrive - di un personaggio moraviano", ovvero la Cecilia del romanzo La noia. E questo perché Rivera, "forse il più grande calciatore europeo, oggi", però "fuori dal campo ridiventa un giovanotto correttissimo, prudente e neutrale". Quel Giorno, già orfano del suo “inventore“ e finanziatore Enrico Mattei morto in volo solo pochi mesi prima, è davvero ricchissimo di articoli, inchieste, racconti, firmati da scrittori e giornalisti di fama o già in rampa di lancio. L’elenco è impressionante. Tra i cronisti più noti ci sono Giorgio Bocca (autore a settembre di una famosa inchiesta a puntate sul fenomeno dell’immigrazione dal Sud, La fabbrica dei nuovi italiani), Natalia Aspesi, Vittorio Emiliani, Mario Fossati, Gianni Clerici.
Tra i disegnatori c’è un giovanissimo Tullio Pericoli, portato al Giorno da Gian Carlo Fusco con lettera di raccomandazione di Cesare Zavattini. E il direttore Italo Pietra, già capo partigiano e socialista,per le pagine della cultura coordinate dal capo redattore Paolo Murialdi ha assunto come critici letterari due trentenni di talento: Pietro Citati e Alberto Arbasino. Il primo, che si esercita con stroncature di precisione in attesa di divenire quel maestro indiscusso delle lettere che poi è stato; il secondo, autore di brillanti reportage impreziositi da un linguaggio ricercato e frivolo, ricco di virgolette e parole straniere che gli procurano una lavata di capo del direttore Pietra.
I lettori però sembrano apprezzare, quell’estate, il resoconto a puntate di Arbasino (che ha appena pubblicato Fratelli d’Italia) in viaggio lungo le coste americane da Las Vegas al Messico, ma anche lo scoppiettante “romanesco“ di un brano inedito di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana del gran lombardo Carlo Emilio Gadda, che il Giorno annovera tra i suoi straordinari collaboratori insieme, tra gli altri, a Italo Calvino, Giorgio Bassani, Mario Soldati, Giovanni Arpino, Attilio Bertolucci (che nell’agosto del ’63 firma un’inchiesta a puntate sugli antiquari), Umberto Eco, Leonardo Sciascia e, di lì a poco, Primo Levi.