Una strage familiare che ha lasciato sgomenta l’Italia intera e che continua a sollevare interrogativi. Ne parliamo con Valentina Sambrotta, sociologa, specializzata in criminologia e psicologia forense, professional counselor.
Gli inquirenti ribadiscono che non c’è un movente tecnicamente valido. Che cosa può avere portato un diciassettenne, un ragazzo normale, secondo le testimonianze, a compiere un gesto così atroce?
"Facile tirare in ballo il raptus omicida, ma dobbiamo concentrarci sulla genesi, tutto ha sempre una spiegazione. Che non giustifica ma aiuta a comprendere i fatti e che è spesso legata a un disagio psicologico che esige di essere ascoltato".
Un disagio legato anche all’età?
"Le statistiche parlano chiaro. Sono in aumento i giovani che arrivano a gesti estremi, privi di riferimenti e stimoli, in balia di un vuoto interiore insostenibile, alla mercé di una povertà psicologica".
Perché scagliarsi contro la propria famiglia?
"È fondamentale che anche in famiglia venga data voce alle emozioni, anche a quelle più disturbanti e che ci siano luoghi che possano accogliere e gestire, insieme ai giovani, pensieri e malesseri, aiutandoli a migliorare la propria autoconsapevolezza. Serve un’educazione emotiva che riguardi soprattutto le fragilità che contraddistinguono ogni essere umano: dolore, rabbia, tristezza, ma preferiamo ricercare la causa del loro disagio in qualcosa di esterno, quando invece quella è solo la conseguenza. L’ascolto dev’essere qualcosa di sentito, reale. La famiglia è in frantumi. Non c’è più una regola ed è avvenuto perché si parla troppo ma si ascolta troppo poco".
Colpisce la freddezza del ragazzo, la sua lucidità e che non abbia chiesto scusa o perdono.
"L’assenza di una richiesta di perdono e la mancanza di rimorso indicano un vuoto emotivo spaventoso che ha trasformato la sofferenza in violenza e di cui siamo tutti responsabili come società. Per due motivi fondamentali: perché a fronte di una maggiore libertà non siamo stati in grado di assumerci la stessa responsabilità e perché problematizziamo il nulla, perdendo di vista invece, come in questo caso, il significato e il valore della vita".
Sempre più casi simili, in tutte le parti d’Italia. Qual è la connessione?
"Smettiamola di pensare che questi eventi si possano verificare solo lontano da noi perché ci riguardano molto più di quanto potremmo pensare. Ci colpisce il profilo di normalità. I segnali in realtà ci sono sempre, anche se a volte siamo troppo ciechi per vederli".
Cosa possiamo imparare da questa tragedia?
"Questo avvenimento terribile può e deve diventare occasione per riflettere e parlare con i propri ragazzi, senza rimuovere i sentimenti ma facendoli esprimere. Dobbiamo puntare sulla relazione, sia con altri adulti in grado di sostenerci sia con i giovani, cercando di empatizzare e avvicinarci al loro linguaggio abbandonando il più possibile il giudizio per non fossilizzarci su una posizione di chiusura. Occorrono le regole ma anche una sensibilità diversa. È importante trasmettere valori differenti, far capire che la vita è una sola e che abbiamo il diritto e il dovere di rispettarla".