NICOLA PALMA
Cronaca

Scarcerato nonostante l’accusa di duplice omicidio: perché i giudici hanno fatto questa scelta

L’uomo è sospettato di aver ucciso padre e figlio a fine 2020 in Pakistan. La Cassazione ribalta la sentenza d’appello e dispone l’uscita di cella di un operaio residente in Brianza con moglie e figli

La Corte di Cassazione a Roma (Archivio)

La Corte di Cassazione a Roma (Archivio)

Milano, 4 giugno 2024 – Nel suo Paese di origine lo accusano di aver assassinato due persone il 26 dicembre 2020, facendo irruzione in una fattoria per ammazzare padre e figlio a fucilate. Lui, operaio pakistano che vive in Brianza con moglie e figli, si è sempre professato innocente, sostenendo che qualcuno in patria voglia incastrarlo per accaparrarsi un terreno e costruirci sopra un impianto militare.

Tuttavia, i giudici chiamati a pronunciarsi sul caso del quarantasettenne M.C. non si sono concentrati tanto sulle prove a discapito o a favore, quanto sulla richiesta di estradizione inoltrata dalla Repubblica islamica. Se la Corte d’Appello di Milano ha accolto l’istanza, ora la Cassazione ha ribaltato la situazione, disponendo l’immediata scarcerazione. 

La vicenda

A questo punto, serve un passo indietro. L’8 marzo 2023, C., da anni residente in Italia, si reca in Danimarca per andare a trovare un parente, ma lì viene ammanettato e portato in carcere, in esecuzione del mandato emesso il 7 luglio 2021 dal Learned addictional district and session judge di Wazirabad , nella regione del Punjab, che lo accusa del duplice omicidio del 2020 (quando M.C. si trovava in Pakistan, bloccato dalle restrizioni causa Covid).

L’uomo resta in cella per 24 giorni, fin quando il Tribunale di Nykøbing Falster lo libera, tenendo conto delle condizioni "dure e potenzialmente letali" di diversi istituti di pena pakistani e del rischio di violazione del diritto a un processo equo. A quel punto, M.C. rientra in Italia, ma il 5 luglio 2023 l’Ambasciata della Repubblica islamica invia una nota con la medesima richiesta di estradizione al Ministero della Giustizia, che a sua volta la gira un mese dopo a Milano. Il procuratore generale chiede di respingere l’istanza, richiamando il precedente verdetto danese. All’udienza del 19 gennaio 2024, M.C., assistito dall’avvocato Massimiliano Palmieri, si difende così: "Tutto quanto agli atti è falso e i fatti sono diversi, è una macchinazione politica per uccidermi".

Il nodo della questione

La decisione ruota attorno a una domanda: ci sono le condizioni per concedere l’estradizione? C’è una premessa da fare: non esiste un trattato bilaterale di estradizione tra Pakistan e Italia, come emerso di recente nel caso dei genitori di Saman Abbas, condannati all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Reggio Emilia per l’omicidio della figlia; i rapporti, segnala la nota ministeriale trasmessa dall’Ufficio cooperazione giudiziaria internazionale, "sono attualmente fondati sulla cortesia istituzionale". Detto questo e aggiunto che a Islamabad è prevista la pena di morte per gli assassini, i giudici milanesi valorizzano l’ordinanza numero VI che nel 2019 ha modificato il codice penale dello Stato: "Qualora l’imputato sia stato estradato in Pakistan o condotto in Pakistan in virtù di un accordo con un Paese straniero o un’autorità diversa da quella prevista dall’estradizione o qualora contro un imputato fossero utilizzate prove in sede giudiziaria ottenute da un Paese straniero, con sentenza di condanna, la Corte può punire l’imputato con qualsiasi pena prevista per tale reato tranne la pena di morte".

“A seguito dell’intervento normativo del 2019 – prende atto il collegio presieduto da Francesca Vitale – è pertanto possibile affermare con certezza che i fatti per cui è richiesta l’estradizione non sono punibili con la pena capitale". Conclusione: sì all’estradizione. M.C. finisce in carcere a Monza e ci resta per tre mesi.

Il “ribaltone”

A quel punto, l’avvocato Palmieri presenta ricorso in Cassazione, spiegando che la norma pakistana citata non è applicabile alla causa in corso, visto che l’accordo che dovrebbe far scattare l’ordinanza numero VI "è inesistente". Tradotto: i rapporti basati sulla mera cortesia diplomatica non obbligano il Pakistan a utilizzare quella norma migliorativa; e di conseguenza "il rischio concreto è che il ricorrente, ad epilogo del procedimento penale, possa essere sottoposto alla qisas (diritto sancito dal Corano di vendicare l’uccisione di un familiare, ndr ), con conseguente decesso". Una tesi condivisa dalla Suprema Corte, che ritiene che non ci siano le condizioni previste dal nostro codice di procedura penale. Quindi, verdetto annullato e immediata liberazione di M.C.