ANNA GIORGI
Cronaca

Overdose in questura, la Corte di Strasburgo condanna l’Italia dopo 22 anni di processi

L’uomo morì mentre era in arresto: familiari risarciti con 120mila euro. "La polizia non adottò tutte le misure idonee a prevenire il decesso"

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Milano, 14 settembre 2023 –  Morì per overdose, subito dopo essere stato arrestato, all’interno della Questura di Milano.

Sono passati ventidue anni, ma la giustizia, lentamente, ha fatto il suo corso e presentato il conto allo Stato, ribaltando una sentenza di appello e una di Cassazione. Di fatto ripristinando la decisione emessa in primo grado dal tribunale ordinario.

Ieri la Corte europea dei diritti umani ha infatti, stabilito che all’epoca dei fatti, cioè della morte dell’arrestato, "la polizia non adottò le misure idonee a prevenire il decesso" e che quindi "lo Stato italiano è colpevole di aver violato il diritto alla vita di C.C.", queste sono le iniziali con cui nella sentenza è indicato l’uomo al centro della vicenda.

La madre, la compagna e la figlia della persona morta avevano presentato il loro ricorso alla Corte di Strasburgo il 23 dicembre del 2001. Le tre donne hanno combattuto per anni e non si erano arrese quando il pubblico ministero aveva deciso di chiudere il caso perché dalle prove raccolte durante l’inchiesta preliminare non emergevano elementi che potessero collegare la morte di C.C. a eventi esterni commessi da terzi, idonei quindi, a far concludere che fosse stato commesso un atto criminale.

Madre, compagna e figlia avevano allora presentato una richiesta di risarcimento contro il Ministero dell’Interno per omissione di soccorso e omessa sorveglianza. Dopo aver vinto vinto in primo grado – con il tribunale che riconosceva 100mila euro di danni alla madre e 125mila alla figlia – la sentenza era stata ribaltata in appello e in Cassazione. Ora, grazie alla decisione della Corte di Strasburgo, si è tornati alla sentenza del tribunale di prima istanza (tranne che per l’ammontare del risarcimento, 90mila euro, molto inferiore a quello stabilito in primo grado) i giudici europei hanno stabilito che "il Governo non ha dimostrato in modo convincente che le autorità hanno fornito a C.C. una protezione sufficiente e ragionevole della sua vita". Per i togati di Strasburgo, i poliziotti erano in possesso di informazioni che avrebbero dovuto metterli in allerta sui pericoli a cui andava incontro l’arrestato e farli agire di conseguenza.

"Gli agenti – si legge ancora nella sentenza – sapevano che quando C.C. è stato fermato non si sentiva bene e aveva un comportamento autolesionista, che aveva problemi di dipendenza dalla droga". Inoltre le sue condizioni psicofisiche erano alterate a causa del probabile consumo recentissimo di droga. A questo si aggiunge il fatto che i poliziotti sapevano che era un tossicodipendente con tutti i problemi di salute che ne conseguono. Nonostante tutto ciò, la vittima non era mai stata perquisita, né sottoposta a un controllo medico dopo il suo arrivo in questura. La Corte ha anche rilevato che "non è chiaro se l’uomo sia stato adeguatamente monitorato per tutto il tempo in cui rimase in attesa di provvedimenti della questura". E, ancora, che apparentemente "non tutti gli agenti coinvolti sono stati interrogati dai pubblici ministeri".