
di Alessandra Zanardi
Era il primo maggio del 1941 quando, per volere del cardinale Ildefonso Schuster, una comunità di 27 monache benedettine guidate da Margherita Marchi s’insediò nell’abbazia di Viboldone, che da tempo era in stato di abbandono. Oggi l’antico monastero sangiulianese dedicato ai santi Pietro e Paolo è ancora sede di un gruppo di 25 suore di clausura, guidate dalla madre badessa Anna Maria Pettoni e seguaci della regola “ora et labora”, una miscela di vita attiva e contemplativa.
A celebrare gli ottant’anni di presenza delle suore a Viboldone ha deciso di contribuire anche il melegnanese Adriano Carafoli, fotografo e videomaker, che ha realizzato un video-documentario sull’abbazia e le attività che vi si svolgono. La più affascinante è senz’altro il restauro dei libri antichi, settore nel quale le consorelle hanno raggiunto livelli di maestria notevoli.
"Ho tenuto alle monache alcune lezioni di photoshop e impaginazione – spiega –; dopo un anno di questa attività è nata la necessità di fare qualcosa per l’anniversario del primo maggio 1941. Qualcosa che storicizzasse quell’evento e raccontasse alcuni aspetti della vita delle suore, senza urtarne la riservatezza". Immagini d’epoca, scorci del monastero e del contesto che lo ospita: in 22 minuti di fotogrammi si dipana la storia delle religiose, con la loro presenza schiva e operosa, un tocco di spiritualità nella San Giuliano dei borghi antichi e delle campagne.
Canti, preghiere e letture, ma anche attività manuali, come la produzione di ceri e candele e la cura dei giardini, bellissimi, che circondano l’abbazia: sono solo alcune delle attività che scandiscono la giornata delle religiose, specializzate anche nel recupero e nella rilegatura dei testi antichi. Un lavoro certosino, "nel quale le monache sono davvero maestre – racconta Carafoli –. In genere si tratta di pergamene soggette a usura e invecchiamento, con inchiostri che avevano una base ferrosa e perciò sono andati incontro a un processo di ossidazione". Sotto le abili mani delle suore, questi testi riprendono vita e possono tornare a essere un patrimonio, storico e culturale, della collettività.
Oggi le monache vivono in un’ala nuova del convento, mentre quella vecchia è adibita a foresteria. "Sono contento - prosegue il videomaker - di essere riuscito a mostrare la quotidianità di queste persone, tanto riservate quanto operose. Nel documentario non c’è nulla d’inventato". E tutto è raccontato con delicatezza. "Mi sono mosso in punta di piedi, senza rubare le immagini, ma al contrario cercando un contatto umano, facendo in modo di essere accettato. Che cosa mi ha emozionato di più? Tutto". Il video è completato da alcune panoramiche realizzate con un drone.