Rapinatori fantasma, il pm si arrende. E l'omicidio di Nicoletta resta un «cold case»

Donna incaprettata: almeno quattro sospetti, ma nessuna prova di Marinella Rossi

Il luogo del delitto

Il luogo del delitto

Milano, 3 settembre 2015 - Delitto irrisoltoDa archiviare. Il caso di Nicoletta Figini resta freddo. Magari a pochi passi dalla soluzione? L’ultima percorreva lo scenario di una violentissima rapina concepita in un “cluster” di cittadini Est europei (là porta il dna trovato significativamente sotto le unghie della vittima), di cui uno solo tra gli individuati (Alexandru S.) si è rifiutato di fornire il suo profilo genetico e - non essendo stato indagato per via dell’eccessiva genericità degli indizi a suo carico - non è stato sottoposto al prelievo forzoso, su decisione del gip. «Cold case», allora. Troppi scenari possibili, e tutti - dopo analitiche e tenaci indagini della squadra mobile - finiti in un vicolo cieco. Sesso, bondage, droga, vendetta? Tutti infognati in un “cul de sac”. Proprio come soffocò crudelmente Nicoletta, 56 anni - benestante e una vita all’ombra di gusti sessuali particolari e una tossicodipendenza tardiva che stava curando in un centro dedicato -, nella notte tra il 18 e 19 luglio 2013 in casa sua. Imbavagliata con un lenzuolo bianco beige - sopra lo scotch che copriva inesorabilmente naso e bocca -, lenzuolo che senza soluzione fasciava collo polsi caviglie, in una sorta di pseudo incaprettamento su cui le cinghie borchiate a uso sadomaso vennero poste come un nastro su un pacco.

Il luogo del delitto

Dopo due anni anni da quel 18 luglio in via Bernardo Ramazzini 4, settimo piano, quattro locali messi totalmente a soqquadro, e dopo una morte avvenuta per soffocamento da chiusura di naso e bocca, il sostituto procuratore Mauro Clerici ha chiesto l’archiviazione del caso al gip Roberto Arnaldi. Perché, sebbene tra le tante ipotesi percorse fino all’ultimo metro, resti in piedi - secondo l’accusa - la rapina, i rapinatori, con ogni probabilità slavi, restano ombre senza volto. Fin da subito le indagini - spiega il pm nel suo atto - sono apparse complicate: la vittima viveva sola, senza parenti e rapporti affettivi, nessun testimone né indizi univoci, piuttosto elementi che offrivano diversi scenari possibili. Ma il più plausibile resta quello della rapina violenta - scrive il pm -, anche in forza della fune rossa e del moschettone da scalata che dall’ottavo piano del palazzo, locale motori ascensore, fu calata con tanto di asole per inserire piedi e mani dello “scalatore”, attraverso una finestra a lato rotta all’uopo fino alla veranda dell’appartamento di Nicoletta.

La donna, quando è assalita, si trova in camera, ha addosso una vestaglia bianca, non è sotto effetto di sostanze, lotta per difendersi, si rompe le unghie, viene picchiata sulla testa, trascinata in sala, là trasformata in una mummia da soffocare. In casa gli investigatori troveranno la cassaforte (senza oggetti di valore) inviolata, una fiala di eroina liquida, e i gioielli che Nicoletta nascondeva, là dove erano stati nascosti: e questi ritrovati proprio grazie alle indicazioni di una potenziale sospettata, la precedente colf ucraina - R.S. - licenziatasi un mese prima dell’omicidio e tornata nel Paese d’origine, e contro la quale le indagini per rogatoria della squadra mobile e una lunga fase di intercettazioni non hanno portato ad alcun elemento a carico. Lo stesso vale per l’ex socio del negozio di telefonia della Figini, ed ex amante. G.P.M., di cui lei aveva rivelato, scandalizzata, ad altri la relazione con la figlia tredicenne di suoi amici (e per cui l’uomo è stato arrestato e condannato per violenza sessuale). Ma l’ex socio è risultato estraneo a tutto, anche ai cospicui reperti di dna trovati sulla scena del delitto.

Così come non ha trovato riscontri l’ipotesi di un omicidio maturato nel mondo degli spacciatori e dei tossicodipendenti, o da iscrivere in rapporti sessuali deviati, tanto che il pm indica come a solo scopo “decettivo” l’utilizzo sulla scena del crimine dei sex toys trovati in casa: in particolare le cinture da bondage erano sovrapposte ai veri strumenti di contenzione, e cioè le tende. E anche la comparsa di un terzo uomo (tale A.) individuato attraverso il materiale genetico trovato su un cinturino indossato da Nicoletta, non porta all’omicida: A. era stato amante di Nicoletta, l’aveva introdotta al bondage, regalandogli la cinta su cui - scrive il pm - il materiale genetico si conserva però per periodi indefiniti e lunghi, mentre il dna trovato sotto le unghie di Nicoletta è incompatibile con l’uomo, peraltro da tempo gravemente ammalato e privo di alcun movente contro la ex.

marinella.rossi@ilgiorno.net

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