
In via Vercesi sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Sesto e gli specialisti della Sezione investigazioni scientifiche
Milano – “Fammi uscire, fammi uscire”. Sono da poco passate le 2 del 7 giugno, siamo in un seminterrato della palazzina di via don Vercesi 5 a Bresso. Due dei cinque inquilini nordafricani si fronteggiano prima vicino alla porta d’ingresso e poi in una stanza: Badr Harnafi, quarantunenne marocchino che ai carabinieri si presenterà come “ex pugile professionista”, sovrasta Abdellatif Soubai, di tre anni più grande, con una raffica di cazzotti. Il connazionale, che inizialmente aveva cercato di placarne l’ira con frasi come “sono tuo fratello, non voglio litigare”, si ritrova a terra coi vestiti sporchi di sangue: “Hai visto come mi hai conciato”, dice all’altro. Che non si ferma e continua a colpire, nonostante la supplica: i calci alla nuca e un ultimo terribile gancio alla mandibola stendono definitivamente Soubai.
La drammatica sequenza che ha portato alla morte del quarantaquattrenne è ricostruita nel provvedimento con cui il gip Chiara Valori ha convalidato l’arresto in flagranza per omicidio di Harnafi, disponendo la misura cautelare del carcere: al quarantunenne, difeso dall’avvocato Norberto Salza, è stata contestata anche l’aggravante dei futili motivi, “legati ai fastidi della convivenza e al fatto che il Soubai disturbasse il suo sonno russando”. Agli atti dell’indagine dei carabinieri della Compagnia di Sesto San Giovanni, coordinati dal pm Giovanna Cavalleri, ci sono le testimonianze degli altri tre coinquilini, che hanno assistito alla lite degenerata in aggressione letale.
Uno di loro ha dichiarato ai militari che quella sera Harnafi è rientrato a casa “piuttosto nervoso e ha iniziato a parlar male di Soubai”; quando quest’ultimo è tornato nel seminterrato, è scoppiata immediatamente la prima discussione. Poi qualcuno ha usato lo spray al peperoncino, rendendo l’aria irrespirabile: B. ha spiegato di essere uscito dal palazzo, per poi rientrare per recuperare il portafogli; a quel punto, ha visto Soubai sporco di sangue e ha deciso di chiamare il 112. All’arrivo dei carabinieri, Harnafi ha cercato di allontanarsi, ma è stato bloccato dopo pochi metri: nonostante si fosse già cambiato, presentava tracce ematiche sulla nuca, sotto le unghie delle mani e sui talloni.
Portato al Bassini per dolori al braccio sinistro, i medici hanno diagnosticato un trauma cranico da percosse e un trauma contusivo alla mano sinistra, con una prognosi di 9 giorni. Gli esami del sangue hanno evidenziato una positività alla cocaina e ai cannabinoidi. Pur premettendo che le ragioni del litigio vanno ancora comprese con esattezza, il giudice ha ritenuto sussistente “l’animus necandi (la volontà di uccidere, ndr), vista la pervicacia nel colpire la persona offesa inerme, il numero di colpi, le parti del corpo attinte e la capacità lesiva dei colpi inferti”, perdipiù alla luce del passato da boxeur di Harnafi (già indagato nel 2009 per tentato omicidio).