Partito dal suo Paese d’origine, la Costa d’Avorio, col miraggio di una vita migliore in Europa, per raggiungere l’Italia ha attraversato a piedi una parte del deserto africano, è caduto nelle mani dei trafficanti libici, è stato più volte imprigionato. Quindi si è imbarcato su uno dei “gommoni della speranza“ ed è stato salvato dalla guardia costiera. Mamadou Kouassi, 41 anni, che oggi abita a Caserta e fa il mediatore culturale, ha portato la sua storia anche a San Donato, dove ha partecipato alle iniziative promosse dal Comune per la Giornata del rifugiato. Fra gli eventi organizzati per l’occasione anche la proiezione del film di Matteo Garrone “Io capitano“, ispirato anche alla vicenda di Mamadou. La pellicola, che è stata anche candidata all’Oscar, si è aggiudicata i “Nastri d’argento 2024“.
"Il film è entrato nelle scuole e nelle sale cinematografiche: è già una vittoria. È un lavoro che permette di entrare in empatia con chi lo guarda, parlare di accoglienza e integrazione – dice Kouassi –. È la mia storia, ma è anche quella di tante persone che purtroppo non ce l’hanno fatta. Persone che, fuggite a loro volta da Paesi travagliati dalla guerra civile, o dalla povertà, non sono sopravvissute al deserto, oppure alle torture della prigionia o durante la traversata del Mediterraneo".
Il viaggio di Mamadou è iniziato nel 2005, ma solo nel 2008 il giovane africano è riuscito ad approdare in Italia, dopo aver affrontato sofferenze e solitudine. "Il gommone sul quale mi trovavo coi miei compagni di viaggio si squarciò mentre eravamo ancora in mare; un gruppo di pescatori di Mazara del Vallo diede l’allarme. E fummo salvati". Non facili neppure i primi tempi in Italia. "Sono stato in tanti posti, spesso ho dormito in strada. Ho fatto il bracciante a Foggia e Rosarno. Poi, nel 2012, è arrivato il primo permesso di soggiorno. Seguire un corso d’italiano è una delle prime cose che ho fatto: conoscere la lingua è il primo strumento d’integrazione".
"Umanità, condivisione: è questo che serve per sentirsi accolti. Essere parte del tessuto sociale – prosegue l’ex profugo –. I sindaci possono contribuire a tutto questo anche solo aprendo la porta del loro ufficio, per ricevere e ascoltare. Bene anche l’istituzione degli uffici per gli stranieri, come quello attivo a San Donato". Attraverso il Sai, progetto dedicato ad accogliere e sostenere i rifugiati, dal 2014 a oggi San Donato ha aperto le porte a 136 persone provenienti da 24 nazioni diverse.
Alessandra Zanardi