
Parte dello staff dello storico reparto, ristrutturato con 12 letti
C’è un letto al Niguarda, dice l’assessore regionale al Welfare Guido Bertolaso, per il bimbo palestinese di undici anni che è l’unico superstite dei dieci figli della dottoressa Alaa Al-Najjar, pediatra all’ospedale di Khan Yunis a Gaza, nove uccisi da un drone israeliano che ha distrutto la loro casa: "Abbiamo letto l’appello dello zio (perché sia curato in Italia, ndr), ha gravi ustioni in oltre il 60% del corpo. Ho mandato un messaggio al ministro degli Esteri, se fosse trasportabile abbiamo immediatamente offerto la nostra disponibilità ad andarlo a prendere e portarlo nel nostro nuovo Centro ustioni".
Perché da martedì 3 giugno i pazienti, sempre curati in terapia intensiva durante i tre anni di lavori, entreranno nella versione ristrutturata e ampliata dello storico reparto che accolse gli operai dell’Eureco dopo l’incendio del 2010, le vittime della banda dell’acido, ultimamente anche il padre di Belèn Rodriguez, e molti altri di cui nulla s’è saputo: 250 persone ogni anno, molte bisognose "di assistenza intensiva", ricorda il direttore generale del Niguarda Alberto Zoli che chiude così il primo dei grandi cantieri aperti nell’ospedale olimpico in vista di Milano-Cortina 2026: "Contiamo di finirli entro l’anno", dice, e il presidente della Regione Attilio Fontana rimarca che "noi crediamo nella sanità pubblica, tutelarla e rafforzarla è la nostra missione".
Tra fine settembre e inizio ottobre, aggiunge Zoli, "apriremo la nuova Terapia intensiva pediatrica" e così "se un paziente ustionato, adulto o bambino, sarà portato in un pronto soccorso della rete lombarda - sottolinea il direttore del Welfare regionale Mario Melazzini, già direttore sanitario al Niguarda - si valuterà in telemedicina se gestirlo lì o trasferirlo in questo che è il centro di riferimento per gli ustionati della Lombardia. Salvo maxiemergenze, chi si ustiona in Lombardia dev’essere curato qui".
Osservazione tutt’altro che pleonastica, perché il reparto del Niguarda, voluto dal professor Luigi Donati negli anni Ottanta e ristrutturato l’ultima volta oltre vent’anni fa coi soldi dei gestori aeroportuali dopo la tragedia di Linate, è anche l’unico vero centro ustioni in Lombardia - Veneto e Emilia Romagna, con la metà degli abitanti, ne hanno due ciascuna -, e benché abbia accolto, negli anni, pazienti da fuori, altri ustionati hanno dovuto cambiare regione perché i suoi dieci letti subintensivi e non isolati, in cui i malati restano per mesi, erano al completo.
"Ce la mettiamo sempre tutta ma eravamo in grosse difficoltà", sottolinea il primario Franz Wilhelm Baruffaldi Preis, spiegando che "nel nuovo centro la nostra recettività passerà da meno di 150 a 175 pazienti all’anno, e da meno di 20 a 30-35 pediatrici". A fare la differenza non saranno tanto i due letti in più (per un totale di 12) ma il fatto che 5 siano letti di terapia intensiva, con possibilità di isolamento e pressione che blocca all’ingresso l’aria contaminata; che il reparto abbia una shock room e una sala operatoria interne, e sia collocato al primo piano del blocco Dea, strategicamente a metà tra il pronto soccorso e l’eliporto, con percorsi netti e un ascensore dedicato "così i pazienti non dovranno più attraversare l’ospedale".
Non è banale: "La sepsi è la prima causa di morte per gli ustionati – ricorda il primario –. Sono pazienti fragili, immunodepressi, e restano ricoverati a lungo", il che li espone di più alle infezioni ospedaliere, da virus, batteri o funghi. Preis racconta di una candida auris "resistente anche ai farmaci di ultima generazione che quattro mesi fa ci ha costretti a chiudere metà della terapia intensiva e a trasferire i pazienti. In quel caso la contaminazione era arrivata da un’altra terapia intensiva", ma "ci era successo anche un paio d’anni prima". Il problema delle infezioni ospedaliere è legato all’abuso di antibiotici nella società, ricorda il chirurgo: "Siamo un Paese in cui si danno a un bambino appena ha due linee di febbre. Qui prima di somministrare un farmaco facciamo tamponi, biopsie, antibiogrammi, emocolture, e solo se il microrganismo è pericoloso per la persona procediamo. Così si dovrebbe fare, ma non lo fanno tutti. E con la candida auris il paziente rimane contaminato anche una volta guarito, non può essere trasferito in riabilitazione".
Nel nuovo Centro ustioni, le misure anti-infezioni dovrebbero ridurre i tempi di ricovero a quelli fisiologicamente necessari. E con un organico aumentato a 12 chirurghi plastici, cinque rianimatori, 30 infermieri, due fisioterapisti e sei ausiliari "potremo offrire assistenza migliore ai pazienti, che per noi sono al centro"; non solo gli ustionati, sottolinea Preis, ma anche persone con la pelle gravemente compromessa da reazioni chimiche, allergiche, incidenti e persino infezioni come la fascite necrotizzante.