
Un operaio al lavoro (foto di repertorio)
Milano, 30 maggio 2019 - «Moralmente mi hanno ammazzato, dopo un mese trascorso in ospedale e la convalescenza. Non sono riuscito a trattenere la lacrime...». Il colpo è arrivato sotto forma di una lettera, messa nella mani di Michele Infuso, dal 2000 dipendente di una ditta metalmeccanica di Gorgonzola: licenziamento per «giustificato motivo oggettivo». Per lui, operaio di quarto livello che a 44 anni ha subito un delicato intervento al Centro cardiologico Monzino di Milano dopo aver accusato un malore in azienda ed è rientrato al lavoro con le conseguenti limitazioni dovute ai problemi di salute, non c’è più posto.
Nella lettera di licenziamento l’azienda si appella all’esigenza di «contenere i costi e migliorare e ottimizzare i processi produttivi». Nel reparto di pre-montaggio pedane dove lavorava, Infuso è diventato superfluo perché «le prescrizioni mediche» non permetterebbero di svolgere lavori di saldatura o di «movimentare parti metalliche e materiali di perso considerevole». Non può sollevare più di dieci chili e deve evitare l’esposizione ai fumi e alle polveri. «Le prescrizioni mediche del giudizio di idoneità che impediscono alla società di far ruotare Infuso Michele nei vari reparti - si legge nella lettera - non consentono ad oggi l’effettivo e concreto reimpiego del lavoratore nel medesimo livello di inquadramento posseduto e per completezza anche in merito ad un eventuale diverso posizionamento». Lui, ulteriore beffa, era già sottoposto da tempo a limitazioni nel sollevare pesi per problemi alla schiena, che però non gli hanno mai impedito di lavorare nell’azienda dove svolgeva anche attività sindacale come delegato Uilm. Fino a quando si è sentito male nella ditta, lo scorso 28 novembre. È stato trasportato al Monzino, dove è stato sottoposto a un delicato intervento di ricostruzione della valvola aortica con la tecnica Ozaki, procedura che permette di utilizzare, al posto della protesi, il tessuto del paziente. Quasi otto ore sotto i ferri. Poi un mese in ospedale, la lunga convalescenza a casa e il rientro al lavoro, lo scorso aprile. «Mi hanno chiesto di smaltire le ferie arretrate - racconta - e ho capito che c’era qualcosa che non andava. Un giorno sono stato convocato dal loro consulente, ed è arrivata la mazzata. Dopo vent’anni di lavoro non mi aspettavo un trattamento simile - racconta - io voglio lavorare, non riesco a rimanere a casa». Il tentativo di conciliazione obbligatorio - con l’azienda che ha offerto 4 mensilità come «incentivo all’esodo» - si è risolto con un nulla di fatto.
La vicenda approderà in Tribunale. Infuso, che ha un mutuo da pagare e una figlia alle scuole medie, ha deciso di impugnare il licenziamento, chiedendo il reintegro nella storica ditta con una trentina di dipendenti che produce capannoni per sport, tensostrutture e componenti per la logistica. I suoi colleghi si riuniranno in assemblea mercoledì prossimo, e venerdì 7 giugno i sindacati hanno proclamato uno sciopero di 4 ore. «Noi lottiamo al suo fianco - spiega Francesco Caruso, segretario Uilm Milano - lo hanno trattato come un ferrovecchio inutile, devono restituirgli il posto di lavoro».