
Danilo Coppola, 57 anni, si trova in carcere a Viterbo dallo scorso agosto dopo un periodo di latitanza ad Abu Dhabi
Milano, 21 febbraio 2025 – La detenzione nel carcere di Viterbo di Danilo Coppola “non è contraria al senso di umanità, essendo il condannato costantemente monitorato dal personale medico, infermieristico e penitenziario, per attuare la piena tutela della salute psico fisica”. Per i giudici del Tribunale di sorveglianza di Roma “non sussiste alcuna incompatibilità con il regime carcerario” sia sotto il profilo “dell’assenza di violazione della dignità umana del detenuto” e sia “per quanto riguarda la gestione delle sue problematiche psicofisiche”.
L’ex furbetto del quartierino
Con queste motivazioni i magistrati hanno respinto la richiesta di differimento dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare in una clinica per Danilo Coppola, immobiliarista 57enne protagonista della stagione dei “furbetti del quartierino“ e delle scalate bancarie di una ventina di anni fa. I suoi legali, gli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Alessandro Gentiloni Silveri, hanno presentato un ricorso in Cassazione e in parallelo un’istanza urgente alla Sorveglianza dovuta “all’aggravamento delle condizioni di salute del detenuto”. Il figlio, minorenne, lancia intanto un appello: “Non lasciate morire mio padre in carcere”.
Coppola sta scontando un residuo pena per la condanna a 7 anni emessa dal Tribunale di Milano nel 2022 per il fallimento del Gruppo Immobiliare 2004 e delle società Porta Vittoria e Mib Prima, uno dei diversi procedimenti che lo hanno coinvolto nel corso degli anni.
L’estradizione, il carcere, lo stop ai domiciliari
Dallo scorso agosto, quando è stato estradato da Abu Dhabi, è in carcere a Viterbo. Da allora ha perso 25 chili, soffre di gravi disturbi dell’“adattamento” - ansia, depressione, claustrofobia in forma grave - associati a un “deperimento organico”. Lo stesso collegio peritale nominato dal Tribunale di sorveglianza, sulla base di una visita medica effettuata lo scorso 17 dicembre, aveva sostenuto la necessità di “un percorso sanitario integrato da attuarsi nella forma di ricovero, anche nelle forme di detenzione domiciliare, presso una struttura sanitaria adeguata, in grado di realizzare da una parte il ripristino di un soddisfacente stato nutrizionale e metabolico, dall’altro di instaurare un percorso psicoterapico e farmacologico atto a migliorare lo stato emotivo del paziente”. Conclusioni allineate a quelle del consulente di parte.
Gli infarti e la perizia medica
Non è la prima volta che le condizioni di salute di Coppola vengono dichiarate incompatibili con il carcere ma in questo caso, nonostante il parere favorevole ai domiciliari espresso dalla Procura generale, per i giudici romani può essere curato anche nel penitenziario. “Una decisione che non ha alcuna base logica o medica, ma che sta condannando mio padre a una lenta agonia”, spiega il figlio 17enne che vive a Lugano, in Svizzera. Un caso sollevato anche davanti alla senatrice Ilaria Cucchi, che “si è interessata e ha chiesto la documentazione” sul procedimento. “Come può un Tribunale – si chiede il ragazzo – chiedere una perizia medica e poi non tenerne conto? Mio padre ha già avuto due arresti cardiaci, ha perso 25 chili in pochi mesi. Mi sono concessi due colloqui al mese, e ogni volta che lo incontro lo trovo peggiorato. Il carcere – conclude – sta diventando la sua condanna a morte”.