
Nicolai Lilin
Milano, 2 ottobre 2016 - Dalla Transnistria, scampolo dell’ex-Urss incastrato tra Moldavia e Ucraina, il filo che conduce a Milano può essere «un gomitolo infinito di casini». Come dire, il destino. Come Nicolai Lilin fa dire a un personaggio di «Spy Story Love Story» (Einaudi), ultimo prodotto della serie avviata dal grande successo di «Educazione siberiana», mix fiction-non-fiction. Certi «casini», inutile sbrogliarli.
Ma, Nicolai, lei che in Transnistria per l’appunto è nato, 36 anni fa, perché si è fermato a Milano?
«Questa città non è semplicemente magica, è la magia stessa. Un incantesimo dal potere schiacciante. La carezza di una tigre. Anche questo lo faccio dire nell’ultimo romanzo, ambientato a Milano. Ma è il sentimento che io stesso provo nei confronti del luogo dove felicemente vivo dal 2010».
Precisamente dove?
«Via Cenisio. Perfetta. Semplice, Verde di alberi. Ha ancora lo spirito della borgata: la gente ti saluta; al mercato ti riconoscono; il farmacista sa chi sei. Nonostante ci troviamo nel centro della metropoli, ai piedi dei nuovi grattacieli».
E nel vicino Monumentale, chissà quante ispirazioni per uno scrittore...
«Mi ci rifugio spesso, a salutare Manzoni. Però preferisco seguire l’avvertimento che la statua funebre del Commendatore dà al ridanciano don Giovanni, durante la notte al cimitero: “Ribaldo, audace, lascia ai morti la pace’’. Così, nel libretto dell’opera italiana di Mozart. La vostra lingua, peraltro, l’ho imparata soprattutto rileggendomi i grandi autori conosciuti prima attraverso la traduzione in russo: Pirandello, Cesare Pavese, Mario Rigoni Stern. E Dante, la mia passione».
Rieccoci all’Inferno: quello che lei racconta nell’ultimo libro, in una prosa italiana non proprio esplosiva per originalità, rappresenta comunque un catalogo aggiornato di ogni categoria di male. E anche di armi usate dai nuovi professionisti dell’omicidio (non certo gli impacciati mafiosi calabresi). La trama?
«Alëša, killer al servizio del politico Rakov (che si è fatto strada nel Parlamento russo grazie ai soldi guadagnati come criminale), è incaricato di un’ultima missione: commettere un omicidio a Milano. Ma qui riceve il colpo di grazia».
Incontra Beatrice?
«Si chiama Marta. Sì, l’amore. L’amore che per i russi, con alle spalle una tradizione di dominio e schiavitù, non è un’esperienza romantica. Semmai, sofferenza. Una svolta drammatica di vita. Un treno che prende in pieno Anna Karenina, e, per metafora, il mio protagonista».
L’unico protagonista?
«No, protagonisti infatti sono gli anni Novanta nell’ex-Unione Sovietica, sgonfiata come un palloncino. Voi pensavate che facessimo festa. Invece, c’era la guerra, vera. Nel ’92, un giorno mi sono svegliato sotto gli spari. Un missile era caduto nell’orto. E la famiglia dei vicini, compreso un bambino, è stata sterminata. Quegli anni hanno fatto emergere i mostri, branchi di assassini affamati».
E il bambino Nicolai?
«Che da grande avrebbe voluto fare l’astronauta o il comandante di un sottomarino, si è limitato a sognare di sopravvivere».
Facendo tuttora anche il tatuatore, oltre che il romanziere. Pronto a sperimentare un nuovo genere?
«A Natale uscirà un mio libro di fiabe. E non mancheranno le avventure della tigre siberiana, personificazione di Amba, lo spirito della taiga. Quell’anima selvatica che è nascosta anche nella borghese Milano».