NICOLA PALMA
Cronaca

Nella rete i pedofili insospettabili

Studenti, operai e pensionati si scambiavano foto e video di bimbi abusati

Gli investigatori Rocco Nardulli e Salvatore La Barbera

Milano, 21 giugno 2018 - Il primo approccio era mediato dalla foto-profilo dell’utente: era quello il «modo» per capire a chi rivolgersi. Poi iniziava una conversazione generica, seguita da una lunga attesa in una sorta di anticamera virtuale. E solo alla fine il nuovo arrivato veniva accolto nella community segreta, club esclusivo di pedofili che si scambiavano migliaia di istantanee e video di bambini costretti a violenze di ogni tipo. Un tunnel dell’orrore che gli investigatori della Postale hanno percorso per settimane, riuscendo pian piano ad associare nomi e cognomi ad account intestati ad altre persone e carpiti da reti wi-fi aperte a tutti. Alla fine di un’inchiesta andata avanti per sei mesi, gli agenti del Compartimento per la Lombardia, coordinati dal primo dirigente Salvatore La Barbera, hanno tirato la rete: in 4 sono stati arrestati, altri 18 sono stati indagati.

Insospettabili, a parte tre con precedenti specifici: studenti universitari, operai, pensionati e persino una collaboratrice domestica che lavorava in una famiglia residente a Milano. Gli approfondimenti investigativi sono scattati all’inizio dell’anno, quando i responsabili dell’app di messaggistica Kik Messenger hanno segnalato, come previsto dalla legge, all’organizzazione canadese National Child Exploitation Coordination Centre condotte sospette messe in atto da utenti italiani, verosimilmente legate alla condivisione di contenuti pedopornografici. L’alert è stato immediatamente girato alle autorità di casa nostra, che hanno avviato le indagini. Il primo step, quello più complicato: filtrare ed elaborare oltre 15mila connessioni per smascherare chi si celava davvero dietro quei profili associati a caselle di posta elettronica riconducibili ad altri. Semplificando, l’incrocio tra tracce informatiche e dati di geolocalizzazione ha consentito ai poliziotti di raggiungere l’obiettivo: identificare i 22 componenti del cyber-gruppo, che si scambiavano vorticosamente foto e video con la logica del baratto (non sono stati censiti passaggi di denaro).

A quel punto, gli agenti hanno fatto scattare le perquisizioni: da Napoli alla provincia di Bologna, dal Torinese all’hinterland meneghino. E i presunti colpevoli? Quasi tutti hanno ammesso le loro responsabilità senza tergiversare troppo: persone non abituate a delinquere, colte sul fatto quando evidentemente pensavano che nessuno mai avrebbe chiesto loro conto di quelle immagini raccapriccianti girate chissà quando e dove. Rischiano dai tre ai sei anni di condanna. Dei 4 arrestati in flagranza perché «trovati in possesso di un ingente quantitativo di materiale», solo uno è attualmente in carcere, un 30enne di Torino; il 25enne di Latina è finito ai domiciliari, mentre al 46enne di Crespellano (in provincia di Bologna) e al 30enne napoletano è stato prescritto l’obbligo di firma dopo la scarcerazione disposta dal giudice.