COORDINAMENTO NAZIONALE FAMIGLIE CON DISABILITÀ
Cronaca

Chi cura familiari con disabilità: "Urgente un cambio di sguardo contro i drammi della solitudine"

Il documento del Coordinamento dei caregiver che assistono figli o parenti non autosufficienti: dietro ai gesti estremi c’è l’isolamento sociale, in troppi delegano, giudicano o emarginano

Uno striscione esposto sotto Palazzo Lombardia in occasione dell’ultima manifestazione dei caregiver tenutasi nel 2024

Uno striscione esposto sotto Palazzo Lombardia in occasione dell’ultima manifestazione dei caregiver tenutasi nel 2024

Milano – Continua ad accadere, sembra di leggere sempre lo stesso canovaccio di vita: all’improvviso e senza segnali d’allarme la persona che si è presa cura, spesso per una vita intera, di un suo caro con disabilità, decide che non può più andare avanti così. E compie l’estremo gesto: uccide la persona cui ha dedicato la sua esistenza e poi si toglie la vita. Omicidio-suicidio, strage familiare. Tutto si condensa in questi termini. Gesto di follia, disperazione o di incondizionato amore, secondo la bontà di chi legge. Non sta a noi giudicare. Ciò che noi abbiamo il dovere di giudicare è la società in cui viviamo, che non si accorge di cosa stia accadendo. La domanda che ci interroga è perché la società non sa riconoscere la fragilità. Anzi, la evita perché di queste situazioni deve occuparsi lo Stato, gli Enti preposti, le associazioni, comunque qualcun altro. La evita anche ammirando la forza d’animo di quelle persone, dipinte come angeli, che se ne prendono con amore tutto il dramma. Ammirandole da lontano, senza toccar da vicino quella loro normalità che nessuno sente appartenergli. "Che supereroi!", si sente dire dei genitori che si prendono cura di figli che continuano ad esser definiti speciali. Per non parlare delle "mamme-coraggio", categoria per eccellenza della dedizione di vita. Lo sono. Ma la vita vera di queste persone chi la vede? A chi interessa la vita dei caregiver familiari conviventi delle persone con disabilità? Allo Stato? Ci battiamo da anni per una legge sul riconoscimento giuridico della figura del caregiver familiare convivente che preveda diritti fondamentali e tutele: aspettiamo risposte che lo Stato, indegnamente, non dà. Agli enti locali? Loro, in perenne mancanza di fondi o con una gestione dei fondi non attenta a questi problemi, con personale non formato a supportare i bisogni delle famiglie con disabilità grave, non sono un riferimento. I servizi sociali si mobilitano quando si palesano le emergenze e non riescono a mettersi al fianco delle persone con disabilità e delle famiglie per accompagnarle, ascoltarle, cercare soluzioni insieme, senza che queste si sentano smarrite e tradite dalla vita. Alle associazioni? Tante fanno tanto. Ma non possono fare l’impossibile. E la società? Dov’è la società prima e dopo queste stragi familiari che sarebbe corretto definire "stragi dei caregiver familiari conviventi"?

L’ultima riguarda Gian Carlo Salsi, marito e padre 83enne che prima di impiccarsi, nel modenese, uccide la moglie, alla quale da un paio d’anni era stata diagnosticata una forma di demenza, e il figlio 48enne con disabilità. Pare avesse ricevuto di recente anch’egli una diagnosi di malattia. Non sappiamo cosa scatti nella mente di un uomo logorato da un tempo così lungo di assistenza continuativa, senza pause, isolato, forse impoverito dal costo della disabilità e senza la visione di un rassicurante “dopo di noi”. Sicuramente la vita di una persona che ogni giorno porta avanti questo vissuto è attraversata da momenti di grave burnout emotivo e fisico. Eppure sui giornali si legge che non c’erano segnali di allarme, che i servizi sociali avevano in carico la famiglia. Ma come è possibile che non ci siano stati segnali in una storia di vita del genere? Prima di una tragedia ci sono sempre segnali ma la società non sa leggerli. “Era normale come sempre” dicono i vicini. Come fosse “normale” viver così. In questi casi si pensa a una famiglia abbandonata dai servizi sociali, non supportata da chi avrebbe dovuto e l’analisi si ferma qui. Ma chi avrebbe dovuto? Bisogna che lo sguardo di tutti si spinga oltre per avere una visione più approfondita della quotidianità di queste famiglie.

La domanda, allora. Cosa vuol dire vivere in una comunità? "Significa far parte di una rete di relazioni autentiche, aperte all’ascolto e alla comprensione, cercando di riconoscere in tutte le persone una risorsa preziosa. Altrimenti si parla di scarto, individualismo, disinteresse per l’altro, soprattutto se diverso" (Papa Francesco). Il punto in fondo è questo: la disabilità fa ancora rima con diversità. Proviamo a immaginare se quella famiglia fosse stata vista dai vicini, se ci fossero stati atti di accoglienza e solidarietà, gesti di vicinanza come: ti vado a fare la spesa? Venite a pranzo da noi? Ti do una mano in casa? Hai bisogno di riposare? La fatica del vivere quotidiano sarebbe stata più leggera. Quei genitori si sarebbero sentiti meno soli. Ogni caregiver familiare convivente sa quanto questi gesti possano essere un aiuto concreto, di sollievo fisico e morale. Cogliere i segnali della solitudine e della disperazione dei vicini di casa: questa dovrebbe essere la normalità. Occorre uno sguardo che sappia interrogarsi senza delegare, meno giudicante ed escludente, della società tutta. I caregiver familiari conviventi hanno estremo bisogno di sollievo, di pause per riposare, per dedicarsi alla cura di sé e del resto della famiglia. Non hanno vita sociale. Spesso hanno dovuto rinunciare al lavoro. Hanno bisogno di essere visti. E per questo occorre una narrazione diversa della normalità della vita delle famiglie con disabilità. Perché i media faticano a raccontare la disabilità per quella che è, come parte della vita, con alti e bassi, ma anche e soprattutto con tanta voglia di vivere e di esserci? Se la società fosse più consapevole del fatto che fragilità, malattia, disabilità fanno parte della nostra stessa umanità, e che queste sono condizioni non da allontanare per indifferenza o difesa, ma arricchenti per tutti, si riuscirebbe a costruire una socialità più attenta ai bisogni altrui e ad evitare in parte queste tragedie.

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Famiglie con Disabilità