’Ndrangheta a due passi dal Tribunale. Il genero del boss Mancuso condannato a 12 anni in abbreviato

Gestiva un bar in via Manara proprio davanti a Palazzo di Giustizia frequentato da tutte le toghe. Da lì la moglie cercava di assumere informazioni su alcuni magistrati che lo frequentavano . .

’Ndrangheta a due passi dal Tribunale. Il genero del boss Mancuso condannato a 12 anni in abbreviato

’Ndrangheta a due passi dal Tribunale. Il genero del boss Mancuso condannato a 12 anni in abbreviato

Gestiva un bar in via Manara, proprio a fianco al Palazzo di Giustizia, e da quel locale Rosaria Mancuso, la moglie (non indagata), avrebbe cercato di assumere "informazioni" su "alcuni magistrati" che lo frequentavano. Un punto di osservazione “privilegiato“, proprio davanti al palazzo e di fatto uno dei bar più frequentato dalle toghe. Luigi Aquilano, genero del boss Antonio Mancuso, al vertice della cosca della ‘ndrangheta di Limbadi (Vibo Valentia) è stato condannato a 12 anni.

Per lui la pm Alessandra Cerreti, che ha coordinato l’inchiesta con oltre venti imputati a giudizio abbreviato davanti al gup Guido Salvini, al termine della sua requisitoria aveva chiesto 18 anni di reclusione. Aquilano era finito in carcere a fine luglio 2022 in un’inchiesta della Dda su narcotraffico ed estorsioni, come "recupero crediti", con presunti legami coi clan. Un’indagine da cui era emerso anche che Aquilano, 45 anni, gestiva il locale di via Manara. La sentenza è stata emessa con rito abbreviato dal gup Guido Salvini, che ha condannato altri 20 imputati a pene fino a 5 anni (più alte rispetto alle richieste), tra cui 3 anni a Nazzareno Calajò, presunto "ras della droga" alla Barona, storico quartiere popolare, arrestato lo scorso aprile in un’altra inchiesta su traffici di droga, che ha fatto emergere anche contrasti con ultras della curve di San Siro. Per Aquilano ed altri il gup, però, non ha riconosciuto l’accusa di associazione mafiosa, mentre per due episodi di estorsione ai danni di imprenditori ha retto l’aggravante del metodo mafioso. Già il gip Lidia Castellucci nelle indagini aveva respinto 26 richieste di misura cautelare avanzate dalla Procura, facendo cadere l’associazione mafiosa. Aquilano, secondo il gup Salvini, malgrado i suoi presunti legami col clan Mancuso (atti trasmessi ai pm di Catanzaro), si sarebbe mosso in autonomia, senza creare a Milano una "articolazione" della cosca di Limbadi e senza dover ottenere mai "l’approvazione" per agire della "casa madre" in Calabria. Profonda divergenza di vedute che ha diviso la procura e il gip Lidia Castellucci.

"Le risultanze della presente indagine - scrisse il giudice - se, da un lato, confermano la presenza sul territorio lombardo di soggetti legati da vincoli familiari con la famiglia ‘ndranghetista Mancuso, dall’altro non hanno documentato l’esistenza, fuori dalle aree di origine, di un’associazione mafiosa connotata da un impegno reciproco e costante, funzionalmente orientato alla struttura e alla attività dell’organizzazione criminosa". Due imputati che erano accusati solo di associazione mafiosa sono stati prosciolti, mentre ci sono stati anche tre patteggiamenti e quattro rinvii a giudizio.