
Movida a Milano
Milano, 8 giugno 2020 - La posizione più gettonata: sotto il mento. C’è chi la tiene appesa a un orecchio e chi la stringe in un pugno o la ripone nella tasca dei jeans. Ci sono pure, non pochi, quelli che la indossano correttamente, con le varianti fashion per le signore. La palma del più fantasioso va a un signore sulla cinquantina che passeggia con la mascherina sulla nuca, manco fosse un rimedio contro la cervicale. Mille e uno modi per calzare (male) il dispositivo di protezione individuale che tutti abbiamo nostro malgrado imparato a conoscere in tempi di pandemia da Covid-19, l’antidoto contro il rischio contagio che però in tanti trattano come inutile orpello. Vai in giro per i luoghi più battuti dal popolo della movida e hai la netta sensazione che la maggior parte dei presenti pensi che il peggio sia alle spalle: e non solo per le mascherine, ma anche per la scarsissima attenzione al rispetto del distanziamento, altro caposaldo di chi si sgola mettendo in guardia sui rischi di nuovi focolai e agitando lo spettro di un lockdown-bis.
Il nostro viaggio inizia a mezzanotte da via Lecco, a Porta Venezia: la strada è invasa da decine di persone col bicchiere in mano, quasi tutti a volto scoperto e assembrati come nella migliore tradizione di questo angolo del Lazzaretto. Passa una pattuglia della polizia: un agente urla a un ragazzo «Metti la mascherina», ma è come svuotare il mare con le mani. I gestori dei locali si sono attrezzati per la riapertura, alcuni in maniera fantasiosa: le barriere in plexiglass proteggono sì i tavolini esterni (che ormai hanno colonizzato i marciapiedi), ma chiudendoli in microserre, e i gruppetti sono folti e le sedie attaccate come allo stadio. Ci spostiamo in corso Garibaldi angolo largo La Foppa, nel punto in cui venerdì notte stava per scapparci il morto: la ressa è quella dell’epoca pre-virus, e le protezioni latitano, fatto salvo qualche sparuto “eroe“ circondato da un esercito di indisciplinati; ci sono pure due chioschi ambulanti, uno vende hot dog, l’altro birra a 2 euro e cocktail a 3.
All’una siamo all’Arco della Pace, altro punto caldo: si fa fatica a camminare nel budello tra l’ingresso dei bar e i tavolini (l’ultima fila sfiora la pensilina del tram), capannelli di adolescenti sono assiepati un po’ ovunque; per fortuna, c’è pure chi dice “no“, tipo una comitiva di amici che tengono in bella vista il gel igienizzante, tra un mojito e il posacenere. Sul lato del parco Sempione, gruppetti sparsi sugli scaloni della piazza: la scena di chi si scambia la bottiglia fai-da-te non è purtroppo infrequente.
Scenario completamente diverso alle Colonne di San Lorenzo: poca gente, molte coppie, regole rispettate. Un’istantanea resta impressa: una decina di ventenni ascolta musica in un parchetto di via Vettabbia, senza esagerare e tenendo le distanze, osservato a distanza dai volontari della Croce bianca, che finalmente possono respirare dopo tre mesi di corse disperate da un’abitazione all’altra. Chiudiamo con la Darsena: sono quasi le due, e le sponde sono invase dagli irriducibili della birra da asporto, cancellata per ordinanza a fine maggio e ripristinata dopo una settimana. Anche qui l’impressione è che solo la minoranza abbia imparato la lezione. Hanno ripreso a circolare anche i teppisti, che a un tratto iniziano a lanciare bottiglie di vetro da viale D’Annunzio. «Ma dai, succedono ancora queste cose a Milano nel 2020?», urla una donna. Già, tutto come prima