
Federico Valera (libraio)
Milano, 28 febbraio 2016 - ‘Baravaj’. In dialetto milanese ‘carabattola’, ‘cianciafruscola’, ‘cianfrusaglia’. Particella di un piccolo regno del caos letterario nel quale i libri sono un gioco e massima espressione poetica. Federico Valera, 38 anni, ha scelto di utilizzare questa parola ricca di significati, eppure difficilmente traducibile in italiano, per ribattezzare la sua libreria dell’usato nel cuore di Città Studi. Un progetto nato un anno e mezzo fa, che ha raccolto anche l’eredità di un’osteria, con la quale convive allegramente in una simpatica confusione di generi che, negli ultimi tempi, si è rivelata un business redditizio. Regola numero uno: prediligere il mercato dell’usato a prezzi accessibili. Regola numero due, la teoria del cappello: organizzare eventi e vivere di offerta libera. Pare che funzioni.
E ora, questa piccola foresta metropolitana di volumi ai quali “bisogna togliere il peso della polvere facendoli rivivere e viaggiare”, come Federico ama dire, è stata scelta da Alberto Casiraghy, editore di Pulcinoelefante, per la sua mostra ‘Cianfrusaglie’ (dal 26 al 29 febbraio). L’esposizione raccoglie una sessantina di libretti realizzati su carta pregiata e introdotti da poesie e aforismi, per terminare con illustrazioni a mano. Alcuni sono esposti sugli scaffali con altri oggetti d’arte, mentre altri si nascondono nelle mangiatoie di legno realizzate da Silvia Cafora, architetto 28enne e curatrice della mostra. Piccolo particolare: i volumi sono stampati a caratteri mobili a casa dello stesso Casiraghy, come se la storia avesse voluto fermarsi per fare un passo indietro. L’ultima creatura sfornata dalla sua stamperia artigianale è ‘Baravaj’, libricino in 33 copie impreziosito dai dipinti a caffè dell’artista iraniana Neshat Hedayati, e dedicato al luogo del quale si è innamorato dopo la prima visita. Punto di approdo (ma non di arrivo) della sua micro editoria situazionale, iniziata nel 1982, e che fa di ‘Baravaj’ il 9616esimo capitolo di una lunga saga.
“Il mio è un modo di lavorare molto particolare - spiega Casiraghy senza togliere nemmeno un istante il suo caratteristico cappello - che stabilisce un rapporto intimo con l’autore, a patto di fare di quell’esperienza un gioco poetico”. Ogni opera viene pensata e prodotta a casa sua nell’arco di un pomeriggio, facendone un cenacolo frequentato negli anni da scrittori e artisti di grido, da Alda Merini a Federico Loi, passando per Bruno Munari e Allen Ginsberg. Ma se casa Casiraghy è “un piccolo manicomio privato”, come lo definiva la Merini, “amica fraterna”, l’effimero è comunione di emozioni da tradurre in arte con la fugacità delle parole. C’è spazio per tutti. Purché si abbia davvero qualcosa da dire.
Dai libri di Casiraghy a quelli della casa madre, senza soluzione di continuità. Federico sembra essere molto cosciente di quello che fa. La sua esperienza ventennale di libraio lo ha portato a padroneggiare con dimestichezza un mondo pieno di soddisfazioni e frustrazioni, ma che vive soprattutto di inventiva: “Il mio obiettivo non è fidelizzare il cliente - spiega - ma far sì che sia lui a farsi trovare dal libro che cerca”. In vetrina si scorge un volume di Bruno Munari, edizione del 1958. “Il mio articolo più prezioso - spiega - autografato a mano dall’autore”. Acquistato, come tanti, da un privato con il metodo porta a porta. Piccolo gradino di una grande impalcatura dove “i libri spesso cadono di notte” e vanno ritrovati ogni giorno dal lettore.
di GIUSEPPE DI MATTEO