
Il papà Leopoldo Parrottino e il professore Giuseppe Ardore (Newpress)
Milano, 18 maggio 2018 - La classe di Stefano non è più sui banchi dell’Istituto Pasolini, si è diplomata lo scorso anno. Anche il preside è cambiato. Ma la scuola di via Bistolfi, che per ultima ha visto il sorriso di Stefano Parrottino, non lo dimentica. La maglietta con le ali, dedicata a lui, è incorniciata in presidenza, il suo ritratto e la targa col suo nome sono nella palestra dove si è accasciato, il 21 febbraio del 2013. Gli alunni passano, battono il cinque, lo salutano così. Tutti i giorni. Lo fa anche il prof. di educazione fisica, Giuseppe Ardore, il primo a soccorrerlo. Il primo a tentare di rianimare quel cuore grande che, all’improvviso, ha smesso di battere. E un doppio filo lega la famiglia al Pasolini: ieri è andato in scena il suo memorial. Anche la vecchia prima Et, che oggi ha preso strade diverse, ha fatto di tutto per esserci. Sul campo da calcio si sono sfidati il Pasolini in maglia blu - il colore preferito di Stefano - il Cavalieri, il Caterina da Siena e il Vespucci; a scuola si è parlato dell’importanza della donazione. Perché Stefano oggi vive in 12 persone che hanno ricevuto i suoi organi.
«Lo scorso anno abbiamo conosciuto e avuto qui fra noi Umberto, che ha ricevuto il suo rene. È stato un regalo, siamo ancora in contatto – spiega il papà, Leopoldo Parrottino –. Insieme ad altre famiglie che hanno perso come noi, improvvisamente, un figlio stiamo creando una rete. Per sensibilizzare, per chiedere che la legge che non permette a chi dona e chi riceve di incontrarsi, quando c’è la volontà da entrambe le parti, sia rivista; per chiedere più trasparenza perché non vogliamo che ci siano predestinati. Ma soprattutto per non restare soli. Perché ci si sente abbandonati a se stessi in queste situazioni». Il Pasolini non dimentica Stè e la sua famiglia. «Appena ho preso servizio ho visto quella maglietta con le ali e ho conosciuto la sua storia – spiega la preside Lorena Peccolo – è importante ricordare e sensibilizzare i ragazzi sull’aver cura della propria vita, si pongono tante domande a questa età». «La vecchia Et è rimasta unita – ricorda il prof. Ardore – è arrivata una nuova prima, mi ha chiesto chi fosse Stefano. Ho dovuto raccontare, rivivere quei momenti che rivivo ogni giorno. È difficile, ma lo facciamo per Stefano. È con noi».