Sarà sentito già domani il com pagno di cella di Youssef Barsom deceduto per un incendio la cui dinamica è ancora da chiarire. L’incendio è divampato, quasi sicuramente da un materasso, nella stanza che Youssef Mokhtar Loka Barsom, il 18enne di origini egiziane, condivideva con l’altro detenuto, che è riuscito a salvarsi ed è ora indagato. Solo lui potrà aiutare a capire cosa è veramente successo. Forse le fiamme sono state innescate dai due detenuti per protesta o forse per un tragico incidente: la dinamica esatta – che presuppone anzitutto il capire come un accendino possa essere finito in cella – deve ancora essere chiarita dai pm che hanno aperto un’indagine conoscitiva. Intanto in queste ore sembra ormai chiaro che Youssef che soffriva di gravi disturbi della personalità e non avrebbe dovuto stare in una cella senza sorveglianza non si sia suicidato. Si tratta di una tragedia dui cui si dovranno accertare bene i contorni. Secondo le prime ricostruzioni, il rogo si sarebbe sviluppato intorno alla mezzanotte tra giovedì 5 e venerdì 6 settembre. Ad appiccare l’incendio sarebbe stato il 18enne, nato in Egitto il 5 febbraio 2006, insieme al suo compagno di cella. Un gesto non raro, che solitamente viene compiuto in segno di protesta. E che stavolta potrebbe essere stato un boomerang per i detenuti, devastati dalle fiamme. Gli agenti della polizia penitenziaria intervenuti sono riusciti però a mettere in salvo solamente il compagno di cella della vittima, che ha riportato una lieve intossicazione: non c’è stato invece nulla da fare per Youssef, rimasto intrappolato nel rogo e ritrovato ormai carbonizzato.
Il 18enne era in carcere per la rapina di una catenina davanti alla stazione Centrale. L’avvocata che lo difendeva Monica Bonessa aveva ottenuto la fissazione urgente dell’udienza per la prossima settimana. Con molta probabilità la settimana prossima Joussef Moktar Lota Baron avrebbe potuto uscire dal carcere.
"Era arrivato dall’Egitto passando per un campo di concentramento in Libia, a 15 anni lo avevano trovato legato mani e piedi nel bagno del barcone.
Dalle comunità scappava e viveva in strada, aveva reazioni violente per i suoi traumi pregressi, e non sapeva nè leggere nè scrivere. Una volta lo avevano accoltellato".