ANNA GIORGI
Cronaca

Morì di parto: assolte le due ginecologhe

Al San Paolo la 20enne ebbe una complicazione che le causò la lesione di una arteria: guerra di perizie, il pm annuncia ricorso

Una sala parto in un'immagine di archivio (foto Ansa)

Milano, 3 febbraio 2021 - La Procura di Milano ha già preannunciato ricorso contro la sentenza che ha dato ragione a due ginecologhe accusate di omicidio colposo e poi assolte "perché il fatto non sussiste" dal gup Stefania Pepe. Il caso è quello della ventenne egiziana che al San Paolo morì di parto il 15 giugno del 2015. Si salvò la piccola che nacque sana e di quasi quattro chili. Le due dottoresse che seguirono la gravidanza e il parto, assistite dagli avvocati Luigi Isolabella e Diego Munafò, furono denunciate dal marito della vittima, che era in sala parto, era con lei quando cominciò l’emorragia, la moglie poi morì subito dopo il trasferimento alla terapia intensiva dell’Humanitas.

Stando a quanto ricostruito dalle indagini, agli atti una consulenza tecnica depositata dai legali di parte civile, in linea con quella disposta dal pm, spiegherebbe che la donna, affetta da gravi problemi di obesità, avrebbe avuto alcune complicanze durante il parto e le due ginecologhe per facilitare l’uscita del feto avrebbero deciso, "per fretta ed errore", secondo la Procura, di ricorrere alla "ventosa ostetrica". Oltre alla "contestata" tecnica, secondo l’imputazione, le due ginecologhe, prima di utilizzare la ventosa non avrebbero nemmeno allertato l’anestesista, nè avrebbero predisposto la sala operatoria per un intervento urgente che poteva rendersi necessario a causa del rischio concreto di una lacerazione grave, che si è poi verificata, causando una emorragia dovuta - si legge nella relazione medica - a una "ampia lacerazione vaginale, con interessamento anche di qualche ramo arterioso, lacerazione da cui derivava una profusa e irrefrenabile emorragia post partum".

Secondo il pm Francesco De Tommasi, che ha coordinato l’inchiesta, la morte della 20enne è stata causata dalla "negligenza, imprudenza e imperizia" delle ginecologhe. Il pm, per loro, aveva chiesto una condanna a un anno e quattro mesi di carcere, con la sospensione. Per il consulente incaricato dal pm, la lacerazione è stata causata "con certezza" dalla ventosa. "E con il cesareo - si legge - la paziente non sarebbe morta". Al contrario per i consulenti della difesa delle ginecologhe, alla base di tutto ci sarebbe stata soltanto una embolia da liquido amniotico, complicanza rara, ma quasi sempre fatale. In questo contesto di complicanza da embolia- sempre secondo quanto stabilito dalla perizia - non sarebbe stato comunque risolutivo il cesareo. Il processo, in abbreviato si è discusso a colpi di perizie di parte e superconsulenze, nessuna però ha chiarito in maniera decisa quale sia stata la causa vera della morte. "Nessuna colpa dunque da parte dei medici", ha stabilito il gup Pepe nella sentenza: "Non sono emersi elementi sufficienti a provare la responsabilità delle due ginecologhe nella morte della donna". Non c’è nulla, in pratica, che possa dimostrare che un cesareo d’urgenza avrebbe evitato complicazioni e morte successiva della ventenne. Nonostante le ripetute trasfusioni di sangue nelle ore successive, la giovane finì intubata e poi in arresto cardiaco. Al momento del trasferimento all’Humanitas aveva già perso quasi cinque litri di sangue. I parenti della donna morta, cioè il marito, la figlioletta che è nata quel giorno, i suoceri a le cognata, assistiti dall’avvocato Paola Di Sotto, nel corso del processo hanno ritirato la costituzione di parte civile, dopo aver ottenuto un risarcimento dall’ospedale. mail: anna.giorgi@ilgiorno.net