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Collassi, farmaci e crisi respiratorie: nuovi dubbi sulla morte di Claudia Bordoni

Accertamenti ampliati agli ultimi quattro giorni di calvario della giovane donna valtellinese morta il 28 aprile alla clinica Mangiagalli con le due gemelle che aveva in grembo di MARIO CONSANI

Claudia Bordoni in una fotografia con il fratello

Milano, 16 maggio 2016 - Non solo sulle ultime ore. È almeno sugli ultimi 4 giorni di vita, che la Procura chiede al suo consulente tecnico di indagare e chiarire. Qual è stato il rapporto tra la tragica fine di Claudia Bordoni - la ragazza morta il 28 aprile alla clinica Mangiagalli con le due gemelle che aveva in grembo - e i forti dolori addominali che la giovane lamentava «almeno dal giorno 25 aprile»? L’inchiesta giudiziaria, che per il momento vede indagati due medici e due ostetriche della Mangiagalli per omicidio colposo, in qualche modo si allarga. Dario Raniero, il medico legale veronese incaricato di risolvere il rebus della dolorosa morte di Claudia, dovrà prendere in considerazione non solo quanto successo durante l’ultimo ricovero di Bordoni nella clinica in cui è poi deceduta, ma anche la giornata che la ragazza trascorse - lunedì 25 aprile, per l’appunto - all’ospedale San Raffaele. In via Olgettina, dove opera la ginecologa che l’aveva in cura e dove Claudia era finalmente rimasta incinta al terzo ciclo di fecondazione assistita, la ragazza si presentò la mattina del 25 già con forti dolori. La visitarono e la dimisero in giornata - spiegheranno poi dalla struttura - «dopo aver accertato l’assenza di patologie generali e di natura ostetrica materno fetale».

Dovrà partire però «almeno» da lì, hanno chiesto gli inquirenti al consulente, la ricerca della cause di quei dolori lancinanti che la sera dopo - martedì 26 - avrebbero portato la donna al ricovero definitivo in Mangiagalli e alla morte avvenuta nel primo pomeriggio di giovedì 28. Il dottor Raniero dovrà insomma appurare, per quanto possibile, quando e come si produsse la lacerazione interna con forte emorragia che, non contrastata, stando all’autopsia portò Claudia alla morte dopo ore di agonia. La donna, già ricoverata alla Mangiagalli, svenì due volte la mattina prima di morire. Ora, sempre rispondendo al quesito che gli è stato posto dai magistrati, il consulente dovrà anche chiarire sequei due mancamenti dovuti alla pressione troppo bassa avrebbero dovuto far scattare un allarme più serio sulle condizioni della giovane. Se i medici, insomma, li abbiano sottovalutati.

E non è tutto. Tra i camici bianchi della Mangiagalli indagati, c’è anche una psichiatra intervenuta perché, dopo il ricovero, Claudia era molto agitata. Secondo l’ipotesi d’accusa, la professionista avrebbe scambiato per crisi d’ansia una vera crisi respiratoria, somministrando farmaci non adeguati. Non sarà - chiedono ora gli inquirenti al loro esperto - che l’effetto di quelle medicine sbagliate abbiano di fatto “nascosto” i sintomi denunciati dalla donna rendendo in qualche modo più difficile anche scoprirne la causa? Ci vorranno almeno due mesi per conoscere le risposte del consulente agli interrogativi posti dalla Procura. Visto il numero dei medici legali e degli esperti - per conto degli indagati e della famiglia della manager milanese - che hanno già partecipato all’autopsia e ai relativi accertamenti, è facile immaginare che il futuro processo, se ci sarà, si trasformerà probabilmente in una battaglia legale a colpi di perizie mediche e cartelle cliniche.