Bonfiglio, la cocaina al 98% e Papita: "Vieni per le 50 porzioni di patatine"

Blitz della Dda di Reggio Calabria: in cella il quarantunenne ritenuto vicino al clan Barbaro-Papalia. La trattativa per la droga, l’appuntamento al Parco Lambro e la trafficante peruviana Diaz Guerrero

Operazione di Dda e carabinieri (Archivio)

Operazione di Dda e carabinieri (Archivio)

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Milano - I nomi sono gli stessi già emersi nel 2021 nell’indagine "Mixtus" della Guardia di Finanza di Pavia, che aveva smantellato un’organizzazione criminale specializzata nell’importazione dal Sudamerica di cocaina mescolata alla struttura polimerica delle valigie: "Questo sistema non ce l’ha nessuno, questo sistema passa tutti i controlli in tutto il mondo...", si dicevano i trafficanti al telefono. Poco più di un anno dopo, riecco i medesimi personaggi nell’inchiesta "Hermano" di Dda di Reggio Calabria e carabinieri di Taurianova, che si è chiusa all’alba di ieri con l’esecuzione di 19 misure cautelari (7 in carcere e 12 ai domiciliari): c’è Carmelo Bonfiglio, quarantunenne trapiantato da Polistena alla Lombardia e ritenuto vicino al clan Barbaro-Papalia; c’è Gino Carlo Melziade, compagno di Olimpia Amato, vedova di Umberto Barra alias "’o Guappo del Giambellino" (ucciso il 19 settembre 1982 in una faida sullo smercio di eroina); e c’è "Papita", la quarantaquattrenne peruviana Ysabel Veronica Diaz Guerrero, anche se nel suo caso il gip Giovanna Sergi ha respinto la richiesta dei pm per carenza di gravi indizi di colpevolezza.

Gli accertamenti investigativi scattano nel dicembre del 2017, a valle del sequestro di 3,4 chili di infiorescenze di canapa indiana essiccata. Da lì, passo dopo passo, gli uomini dell’Arma arrivano prima a Palmiro Cannatà e poi a Bonfiglio, scoprendo che hanno messo in piedi "una consorteria criminale assai ben organizzata". Inizialmente, i due si concentrano sull’hashish e sulla figura di Mohamed Amin El Harkati alias "Jimmy", marocchino di 32 anni domiciliato a Malaga: è lui, secondo le accuse, l’intermediario con i fornitori di stanza in Spagna, alle dirette dipendenze del fratello e di un narcos romeno non meglio identificato. A metà 2018, viene pure individuato il presunto magazzino della banda, in un’abitazione di Mesero. Bonfiglio e compagnia si spostano continuamente: hanno contatti da Verona a Roma, da Brescia ad Aosta. In un dialogo captato dalle cimici, il quarantunenne calcola col socio il possibile guadagno da 27mila euro che gli frutterebbe la vendita di 90 chili di hashish, acquistati a 1.300 euro al chilo. Tuttavia, in almeno due occasioni, qualcosa va storto, e Bonfiglio accumula un grosso debito con un albanese. Come tappare quella falla? Semplice: con la cocaina. Così nell’estate del 2018 inizia ad approcciarsi alla batteria italo-peruviana che annovera tra le sue fila anche i fratelli Melziade (Gino Carlo e Donato).

Una batteria che si fonda sul sistema della droga "inserita" in libri e trolley, che può puntare su chimici in grado di estrarre la sostanza con appositi reagenti e che viene in parte guidata da sudamericani che continuano a dare ordini nonostante siano in cella: "Degno di un set cinematrgrafico hollywoodiano, parte del coordinamento di queste attività illecite – ricostruisce il giudice in 1.133 pagine di provvedimento – proveniva direttamente dal penitenziario di Ivrea, dove una “banda” di detenuti divulgava disposizioni all’esterno su dove, come e quando commercializzare cocaina". Nell’estate del 2018, Bonfiglio entra in contatto con Melziade alias "Zio" e il peruviano Oscar Bruno Bacigalupo Lobaton, che di mestiere fa il meccanico ma in realtà, stando a quanto emerso, è il braccio destro di "Papita" Diaz Guerrero.

È lui a organizzare un incontro, prima concordato in via Filippo Carcano (saltato per un’incomprensione sulla strada da raggiungere) e poi spostato all’interno del parco Lambro, per fare un test della cocaina da acquistare ("Vieni per le 50 porzioni di patatine", il linguaggio in codice); "Papita" resta sempre dietro le quinte, e per questo il gip non riterrà provato il suo coinvolgimento (anche perché nelle intercettazioni si parla di una casa a Sesto San Giovanni, mentre lei risulta residente in zona Mecenate). In ogni caso, la prova viene superata: la sostanza è purissima, al 97,8%. "Eh senti un attimo, te lo dico subito eh, perché qua, sono qua con mio fratello sono eh... 97,8!", dice Melziade a Bacigalupo. "97,8 ba bene... – replica il sudamericano –. Ok adesso glielo dico a lei". E così fa, inviando un sms a quello che per gli inquirenti era il nome di "Papita": "Occhio che la radio è 97.8".

 

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