
Una ex stamperia. In via Villoresi. Zona sotto attacco della gentrificazione. Ma che ancora profuma di una certa Milano, da poliziotteschi Anni Settanta. È qui che nel 2009 è nato Linguaggicreativi, piccolo palcoscenico diretto da Simona Migliori e Paolo Trotti. Una di quelle realtà indipendenti che formano il vero patrimonio teatrale di Milano. Ma la cui esistenza pare sempre sul filo della crisi, tra difficoltà economiche e scelte politiche. Eppure si resiste. Indomiti. Attraverso la qualità della programmazione, l’offerta pedagogica e uno stretto (strettissimo) dialogo con il pubblico.
Paolo, che periodo è per Linguaggicreativi?
"Rispetto alla scorsa stagione sta andando molto bene. La scuola è piena, i concerti hanno ottimi riscontri e abbiamo un buon numero di prenotazioni per la prosa. Quest’anno abbiamo deciso di sottolineare ulteriormente la nostra identità, proponendo artisti nell’ambito della ricerca: Magnolia, Bambole, Paola Tintinelli e Rossana Gay. Ma funziona anche la scelta di puntare sulla socialità, con aperitivi prima degli spettacoli".
Il caro energia sta mettendo in difficoltà il settore...
"Anche noi stiamo tremando in attesa della prima bolletta. Per luglioagosto, quando lo spazio è stato sostanzialmente chiuso e senza aria condizionata, ci hanno chiesto 600 euro".
Vi sentite parte di un sistema?
"Noi ci sentiamo sempre più estromessi dal sistema, riguarda tutti i teatri indipendenti. E non so se è volontà politica o cecità. Da tempo c’è un’evidente spinta all’appiattimento culturale che non include i piccoli numeri. Con la Contraddizione stiamo però provando a fare rete, vorremmo proporre qualcosa insieme, lavorando polemicamente sugli over 35. Siamo in attesa del bando giusto, che ormai è l’attività principale di chi fa teatro. Terrificante".
II dialogo con il Comune?
"Abbiamo fatto domanda per l’attività continuativa, che poi sarebbero i soldi che non ci sono stati dati per il festival Risveglio di Periferia. I contatti sono complessi, sono cambiati i funzionari. Hai sempre l’impressione che sia il teatro a doversi muovere verso l’amministrazione, non viceversa".
Diego Vincenti